Da Buenos Aires era arrivato ventiduenne, figlio di un calzolaio di Macerata e di una spagnola, un fratello calciatore a cui il rinculo di un cannone durante il servizio di leva aveva distrutto una gamba. Uomo di mondo, avrebbe detto Totò. Pesaola era amico di Dapporto e Rascel, Walter Chiari lo chiamò per un film, Tata Giacobetti (Quartetto Cetra) voleva fargli sposare sua sorella. «Ho fatto l'attore nel calcio». A lui è ispirato il personaggio del Molosso, l'allenatore che apre "L'uomo in più" di Sorrentino con una scenata nello spogliatoio. Gli aneddoti che regalava alla corte notturna di giocatori di carte e compagni di whisky si dividevano in storie già vere e altre che lo diventavano. Come lo schiaffo a un compagno che aveva osato fare tunnel a Schiaffino. O quel giornale che aveva dato la notizia della sua morte e lui aveva chiamato il cronista: «Come al solito hai esagerato ». Ma non era una macchietta: una Coppa Italia vinta a Bologna, una a Napoli (che era in B). Dopo uno 0-3 contro di lui Herrera disse: «Giocano da campioni del mondo ». La sua voce era una cantilena. «Solo a Napoli capiscono le mie battute» confessò a Mimmo Carratelli, suo biografo in "Il tango del Petisso". La più celebre per un Bologna- Atalanta tutto in difesa dopo aver promesso calcio d'attacco: «Ci hanno rubato la idea». Una vitalità trasmessa a suo figlio Roberto, autore di tv e teatro con lo pseudonimo di Zap Mangusta. La morte era per Pesaola "la porta nera". «Ma sono stato più grande di Maradona. Di un centimetro». E rideva.
(la Repubblica, 30 maggio 2015)
Nessun commento:
Posta un commento