domenica 31 maggio 2015

Il calcio scanzonato del Petisso Pesaola


MA TU quanti gol hai segnato, Petisso, gli chiedevano i ragazzini. E lui sottile rispondeva: «Quanti Pelé». In realtà pochini, ma uno contro l'Inter, palla nell'angolo alto alla destra di Matteucci, era diventato la sigla della Domenica Sportiva per mille puntate. E dunque erano più di mille i gol, facile, nella logica stralunata dell'ultimo showman del calcio italiano. Da una quindicina d'anni Bruno Pesaola girava gli ospedali, cinquanta sigarette al giorno gli avevano avvelenato vene e polmoni, colorandogli le dita di giallo nicotina. Pensava a una festa per i novant'anni, a fine luglio, nella sua casa a Napoli, città in cui aveva scelto di restare per sempre non avendo potuto decidere di nascervi: 531 partite sotto quei colori da calciatore e allenatore. Ha vinto di più altrove, come lo scudetto del ‘69 a Firenze, l'ultimo viola. Ma la salvezza del 1983 a Napoli all'ultima giornata era «la gioia più grande della vita dopo il matrimonio con Ornella», ex miss Novara, la ragazza che lo aveva spinto al sud: «Ci lavora mio fratello, andiamo, si sta bene». Viaggio di nozze a Positano e poi in ritiro.
Da Buenos Aires era arrivato ventiduenne, figlio di un calzolaio di Macerata e di una spagnola, un fratello calciatore a cui il rinculo di un cannone durante il servizio di leva aveva distrutto una gamba. Uomo di mondo, avrebbe detto Totò. Pesaola era amico di Dapporto e Rascel, Walter Chiari lo chiamò per un film, Tata Giacobetti (Quartetto Cetra) voleva fargli sposare sua sorella. «Ho fatto l'attore nel calcio». A lui è ispirato il personaggio del Molosso, l'allenatore che apre "L'uomo in più" di Sorrentino con una scenata nello spogliatoio. Gli aneddoti che regalava alla corte notturna di giocatori di carte e compagni di whisky si dividevano in storie già vere e altre che lo diventavano. Come lo schiaffo a un compagno che aveva osato fare tunnel a Schiaffino. O quel giornale che aveva dato la notizia della sua morte e lui aveva chiamato il cronista: «Come al solito hai esagerato ». Ma non era una macchietta: una Coppa Italia vinta a Bologna, una a Napoli (che era in B). Dopo uno 0-3 contro di lui Herrera disse: «Giocano da campioni del mondo ». La sua voce era una cantilena. «Solo a Napoli capiscono le mie battute» confessò a Mimmo Carratelli, suo biografo in "Il tango del Petisso". La più celebre per un Bologna- Atalanta tutto in difesa dopo aver promesso calcio d'attacco: «Ci hanno rubato la idea». Una vitalità trasmessa a suo figlio Roberto, autore di tv e teatro con lo pseudonimo di Zap Mangusta. La morte era per Pesaola "la porta nera". «Ma sono stato più grande di Maradona. Di un centimetro». E rideva.

(la Repubblica, 30 maggio 2015)

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