Voleva ammazzarlo. Rivera gli grida, E' mia, e va verso il palo. Lui urla, E' tua, e vede che sul palo quello gli sta facendo un gesto col dito, come a dire, Esce esce. Altro che, se esce. E' il gol di Gerd Muller. E' il 3-3 della Germania. Albertosi lo avrebbe ammazzato. Lo insulta, quello abbraccia il palo, ci picchia la testa sopra, poi gli dice, e Albertosi giura che lo dice, Adesso vado e faccio gol. Palla al centro, Rivera va, e fa gol. 4-3. Quel 4-3. Uno ha la fortuna di vivere dentro la partita della leggenda e non gli capita neppure una parata da consegnare alla memoria. Controllate. Anzi, gli capita di fare un mezzo pasticcio con Poletti sul gol dell'1-2. La sola volta che Enrico Albertosi s'avventa su un pallone dei tedeschi, colpo di testa di Seeler, lo manda in angolo. Ma è l'angolo da cui nasce il 3-3. Succede, che ci vuoi fare. Perlomeno l'hai vissuta. Coi capelli a caschetto sulla testa e una gomma da masticare in bocca. Quella è LA partita, se proprio l'Italia dovesse scegliersene una da ricordare fra le tante dei suoi mondiali. E c'era sempre Albertosi anche nella partita che se l'Italia potesse, sceglierebbe di cancellare. La Corea. Quattro anni prima. Uno ha la sfortuna di vivere dentro la partita della disfatta e non gli capita neppure una parata con la quale mettere a posto la coscienza. Controllate. Quando il tipografo Pak doo Ik gli fa gol, la schiena di Albertosi quasi si piega in due, nel tentativo di arrivarci.
I tifosi dell'Inter se la ricordano di certo a memoria, come una cantilena, la loro squadra dei sogni. Sarti, Burgnich, Facchetti. La squadra che gli ha vinto prima e seconda Coppa dei Campioni, '65, è da allora che ne aspettano un'altra, era ancora vivo Buster Keaton. Sarti, Burgnich, Facchetti.
La vita di Albertosi comincia lì. Quando Sarti va all'Inter e gli lascia la porta della Fiorentina. Albertosi aveva già debuttato in nazionale, ma Sarti gli faceva, Con l'Italia giochi tu però a Firenze il titolare sono io. Lo mandava a comprargli le sigarette, gli faceva portare la borsa. Poi se ne andò, e la porta della Fiorentina fu di Ricky. Anni di grande Fiorentina. Fino allo scudetto: Superchi, Rogora, Mancin. Superchi? Sì, perché Albertosi se n'era andato appena l'anno prima. Una vita nel posto sbagliato. Come nel '68, quando l'Italia vince gli europei, ma lui stava in panchina. Il posto giusto alla fine fu Cagliari. Scudetto. E sembrava che fosse il Milan, nell'anno della stella. Solo che lì lo raggiunse lo scandalo del calcio scommesse. Albertosi è fra quelli che il 23 marzo 1980 la polizia prende allo stadio e porta in carcere. La domenica dopo, le partite le sente alla radio, dentro la stessa cella del suo presidente, che cucina per tutti.
Racconterà: "Feci una stupidaggine. Non denunciai una telefonata ricevuta da un personaggio. Mi proponeva degli affari. Mi limitai a fare da tramite con il mio presidente di allora. Si trattava di un illecito sportivo, ma almeno era diretto a far vincere il Milan, non a farlo perdere. Non avevo calcolato i rischi cui sarei andato incontro. Ma soldi non ne presi". Finito. Così. Il primo gol in serie A gliel'aveva segnato Vinicio, l'ultimo Bettega. A 43 anni, scontata la squalifica, ci riprovò in C2 con l'Elpidiense. Ma a quel punto forse non c'era più un posto giusto dove stare.
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