domenica 4 ottobre 2009

Moriero, il ritorno dello sciuscià

Quelli che dribblano sono fatti così.
«Io mi fidavo solo dei miei piedi. Non avevo un pensiero tattico».
Finché non vengono costretti a scoprire un altro mondo.
«Psicologia, alimentazione, il 4-2-3-1: da calciatore non ci badavo».
Francesco Moriero, da calciatore, era quello dei gol in rovesciata al Neuchatel e al Paraguay. Oggi è la fantasia che si prende la rivincita sulla panchina del Frosinone, primo posto in serie B, dopo aver già vinto la Lega Pro con il Crotone l' anno scorso. «Nel calcio ancora credono che i migliori allenatori siano ex mediani e difensori». Pazienza se Maradona fatica con l'Argentina, Zola è penultimo a Londra e Donadoni traballa a Napoli. Almeno lui vince.
Lo chiamavano Zé Moriero, lo sciuscià dell'Inter che lustrava le scarpe a Recoba e Ronaldo.
«Quel gesto non l'ho inventato per tv e fotografi. Significava: sì, dribblo, ma sono al servizio della squadra. Sento ancora Zamorano, ogni tanto il presidente Moratti, Branca mi risponde e non mi risponde. E Ronaldo, prima o poi, lo acchiappo».



Oggi il suo brasiliano si chiama Calil, 24 anni, era nelle giovanili del San Paolo con Kakà. E ai gol di Basso e Troianiello, Moriero non esulta. «In panchina no. Mai. Se ne parla dopo». Dopo.
Moriero, voce del verbo ricominciare. Ha incantato Milano, fatto infuriare Roma e s' è immalinconito a Napoli. «Lì ho visto la fine. Infortuni, interventi sbagliati, il difensivismo di Mondonico. Ero stressato, fissavo il Vesuvio dalla finestra. Il calcio era diventato un lavoro». Eh no, quelli che dribblano, un lavoro no. «Per un anno non ho guardato neppure le partite in tv». Materazzi padre lo voleva in Cina. «Coi bagagli pronti mi chiesi: ma dove vado?». Lo volevano a L'Aquila. «Mi fermai quando mi accorsi che non sapevo neppure se fosse C1 o C2». E alla fine toccò a sua moglie Emilia fermarlo, autunno 2006, quando i finanzieri vanno ad arrestare Moriero per un giro illecito di auto di lusso. L'accusa: truffa. Dodici giorni ai domiciliari. «Sono innocente». Ma tre anni fa c'era solo la vergogna. «Pensavo al dolore che stavo dando ai miei. Mi passò per la testa persino di scappare all'estero. Emilia è stata la mia forza». Lei che un giorno l'aveva spinto a prendere il patentino d'allenatore, andiamo, togliti le pattine e torna in campo.
Tra la vita e la vergogna, Moriero scelse l'Africa. La panchina dello Sports National di Abidjan, serie A della Costa d'Avorio. «In Italia non mi chiamava nessuno. Forse perché sono un tipo allegro, fuori dagli schemi. Forse perché erano spaventati dai miei guadagni da calciatore». Uno sciuscià da 3 miliardi all'anno. «Avrei allenato i bambini. O in Interregionale». La Costa d' Avorio arriva dopo i contatti in Honduras e Venezuela. «Mi offrirono la nazionale. Ero in corsa con Franco Baresi e Stielike». Scelsero Stielike. «Perché non parlavo francese». Problema che all'Abidjan non si pose il nuovo proprietario, Narcisse Kuyo Tea, capo di gabinetto della presidenza della Repubblica, ma soprattutto zio di Cyril Domoraud, compagno di Moriero all'Inter. «Presi mille ragazzi dalla strada e gli lanciai il pallone tra i piedi per vedere chi ci sapeva fare». Poi ne prese altri 100 in un villaggio e li portò a fare il tifo allo stadio. «Non l'aveva mai fatto nessuno. Correre e divertirsi, lì la pensano come me. Solo che i ragazzi mangiavano banane e pannocchie nelle loro capanne, mi toccava fare il giro per convincerli che una squadra mangia sempre insieme».
Fu il Lanciano a riportare Moriero in Italia. «Una squadra fatta con gli scarti degli scarti degli altri club, pagati a 1.200 euro al mese». E neppure ogni mese. «Nessuno mi ha regalato niente, ma dentro non ho rabbia. Ho fame. Io, Allegri, Zenga, Bisoli a Cesena: siamo una generazione che lavora per riportare la gente allo stadio, con quell'umiltà che nel calcio s'è persa. In giro vedo mancanza di rispetto per gli altri. Mi fa rabbia, questo sì, che ci sia chi parla tanto e tanto guadagna. Mi fa rabbia che uno come Spalletti non abbia squadra». Spalletti e le lezioni a Coverciano, ecco dove nasce il 4-2-3-1 del Frosinone. «Più gli insegnamenti di Mazzone e Simoni, gli unici allenatori che mi hanno lasciato qualcosa. A Frosinone possiamo giocare senza ossessioni. Il presidente non mi ha chiamato per vincere, ma per divertirsi.E se a Frosinone vogliono divertirsi, eccomi qua. Qual è il problema?».

(la Repubblica, 2 ottobre 2009)

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