NÉ COACH né mister. Quelli del rugby si fanno chiamare per nome, per tutti era Elio e per tutti è rimasto Elio fino all'ultimo istante, ieri mattina, quando l'allenatore dei due storici scudetti della Partenope s'è sdraiato sul letto e ha chiuso gli occhi per sempre, a 76 anni. Elio Fusco da un po' faceva i conti con un cuore dispettoso, qualche anno fa era volato a Boston per sistemarlo con dei bypass e poi aveva ripreso la sua vita di sempre, sigarette comprese.
A CASA, inutilmente, si battevano perché tornasse da uno specialista per dei controlli. La sola concessione di Elio erano gli esercizi alla cyclette, forse perché dovevano sembrargli più un'appendice alla sua vita da sportivo che precauzioni da convalescente. Ogni mattina sistemava i pedali, regolava il ritmo, e via, uno due, uno due, per poi scendere e raggiungere gli amici al biliardo di piazza Carità.
È salito in cyclette anche ieri mattina, l'ultima volta, saranno state le nove e mezzo. Quando la moglie Clara è rientrata in casa, s'è accorta che Elio aveva rinunciato al biliardo e aveva preferito appoggiarsi ancora un po' sul letto, dove il respiro si stava spegnendo con dolcezza, senza che l'ambulanza giunta dal pronto soccorso potesse far qualcosa. Era un 9, il numero che il rugby dava alle stelle delle mischie: il mediano, l'artefice del gioco. Era il nove ed era anche l'allenatore di quella Partenope dei miracoli, campione d' Italia nel 1965 e nel '66, la rottura di un dominio veneto ed emiliano durato un decennio. Non un exploit improvviso. Nel '64 la Partenope aveva perso il titolo all'ultima giornata, ko per 9-3 nello scontro diretto col Parma: due settimane prima per battere L'Aquila (6-0) Fusco era sceso in campo con una spalla lussata. Così come divenne celebre la foto di Elio che in un altro scontro diretto per il titolo, ultima giornata a Roma, sorrideva senza due denti, ma felice per lo scudetto, all'avversario che l'aveva colpito alla bocca con un pugno.
Era una squadra, quella, costruita sull'esperienza di Marcello Martone, medico ed estremo, detto 'o duttore; sul nazionale Vittorio Ambron alla tre quarti; e su una linea di mediana di grande qualità, dove Elio Fusco era la fantasia e Mimì Augeri, avvocato e mediano d'apertura, la geometria. Un anno, pur di giocare con loro, l'ingegner Marco Bollesan si fece trasferire dall'Italsider di Genova a quella di Napoli. Un rugby spettacolare e concreto, pieno di idee nuove. Il ricordo della seconda linea Raffaele D'Orazio: «È stato un precursore. Ha anticipato i tempi, aveva un'intelligenza rugbistica fuori del comune. Quella squadra doveva tutto alle sue intuizioni. Un carattere forte, non ci sfuggivano certo le sue asprezze, neppure a noi amici. Ma un grande, diamine, un grande. Sono cresciuto nelle sue mani. Ci siamo visti l'ultima volta proprio domenica, alla partita». Allenava personalmente persino la squadra giovanile quando questa era alla vigilia di qualche match decisivo. A un giovane che in allenamento aveva sbagliato una presa al volo, spiegò: «Pensa a un bambino che cade da un balcone, con le braccia protese gli devi attutire il colpo. Non ti può sfuggire. E la palla che cade nemmeno...».
Undici partite in nazionale e 6 punti messi a segno fra il 10 aprile del '60 (Germania-Italia ad Hannover) e il 9 aprile del '66 (Italia-Francia a Napoli). In mezzo c'è una celebre Francia-Italia, 14 aprile '63, Stade Lesdiguieres di Grenoble. Fusco col suo numero 9 e Bollesan che debutta in maglia azzurra. Italia avanti per 12-6, a un passo dall'impresa, sfumata a un minuto dalla fine per una meta francese, 14-12 per loro, e quante volte l'ha raccontato Elio, quel minuto più bastardo del mondo. Ieri la Federazione italiana rugby, con il presidente federale Giancarlo Dondi, ha immediatamente ricordato Elio Fusco sul suo sito, un altro lutto per la palla ovale, a 24 ore di distanza dalla scomparsa di Corrado Sannucci. Per entrambi la Fir ha deciso un minuto di silenzio per tutte le partite del fine settimana, i funerali di Fusco stamattina alle 11 nella chiesa di San Domenico Soriano a piazza Dante. «Tutte le volte che ci incontravamo, anche l'ultima, domenica scorsa, a Elio piaceva chiedermi quello che mi domandava da giocatore: Marce' , hai portato la borsa?», il ricordo commosso di Marcello Martone.
Una stirpe, quella dei Fusco. Elio ha tre figli maschi. Il primo, Annibale, ha per secondo nome Rugby. Sul serio. Sui documenti. L'ultimo, secondo il racconto di alcuni amici di Elio, doveva chiamarsi Meta. All'anagrafe si impuntarono, risposero che no, proprio non si poteva, e allora vada per Alessandro, 5 volte in nazionale pure lui. Tra i due c'è Luigi. E poi la figlia Carolina, 9 volte campionessa italiana di tuffi, medaglia d' oro nel '79 ai Giochi del Mediterraneo, l'unica donna ammessa tra i soci al circolo Rari Nantes di Santa Lucia. «Abbiamo vissuto per lui e lui per noi», racconta Annibale Rugby Fusco, oggi allenatore in quello sport che suo padre gli ha impresso fin dentro il nome. Oggi, ma non domani. «Smetto. Lascio. Ho allenato la stagione scorsa ad Arezzo, non riprenderò. Senza mio padre, per me finisce anche il rugby».
(Repubblica Napoli, 15 ottobre 2009)
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