venerdì 2 ottobre 2009

La libertà di chiedere conto

C'è qualcosa di laterale al dibattito sulla libertà d'espressione e sulla "serenità di stampa" che fin qui non era stato detto con la chiarezza messa oggi in campo da Roberto Saviano. Sdrucciolevole sul terreno dello stile, ma lucida nella sostanza, la riflessione tiene insieme berlusconismo e brunettismo, rispettivamente sorriso e ghigno di una medesima ideologia, se di ideologia è possibile parlare:
Il paese sta diventando cattivo. Il nemico è chi ti è a fianco, chi riesce a realizzarsi: qualunque forma di piccola carriera, minimo successo, persino un lavoro stabile, crea invidia. E questo perché quelli che erano diritti sono stati ridotti quasi sempre a privilegi. E' di questo, di una realtà così priva di prospettive da generare un clima incarognito di conflittualità che dovremmo chiedere conto: non solo a chi governa ma a tutta la nostra classe politica. Però se qualsiasi voce che disturba la versione ufficiale per cui va tutto bene, non può alzarsi che a proprio rischio e pericolo, che garanzie abbiamo di poter mai affrontare i problemi veri dell'Italia?
Detto questo, dopo la sua apparizione da Daria Bignardi di venerdì scorso, a tre anni dall'uscita di Gomorra, dopo due milioni e mezzo di copie vendute in Italia, altri due milioni nel resto del mondo, traduzioni in 43 Paesi, un film che l'Italia ha mandato a correre per l'Oscar, uno spettacolo teatrale, le minacce di morte, la vita sotto scorta, l'appello dei Nobel, uno speciale da Fazio, insomma, nonostante un'esposizione notevole dello scrittore, qualcuno su friendfeed era convinto che si chiamasse Saviani, Roberto Saviani, e ha scatenato questa cosa qui.

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