Era bassino, Mircea. Troppo basso per fare il portiere. Ma quello era il ruolo che gli piaceva. Il ruolo di Rudy Hiden, un austriaco, il suo idolo. Se ne era innamorato un giorno che il Wacker Vienna si trovava per un'amichevole a Oradea, dove sono sepolti otto fra re e regine ungheresi. Da re pure lui aveva il cognome. David. Ma era così bassino, Mircea David, che per un po' mise da parte il pallone. Giocava ad oina, una specie di baseball romeno, ma soprattutto faceva ginnastica. Così cresco, diceva. E due bottiglie di latte ogni sera. Poi si sa come sono i padri. Lo vede fare tanta ginnastica, troppa ginnastica, e allora gli regala un pallone. D'estate. Al mare. Lascia stare quella tutina e quegli esercizi, vieni, tira un bel calcio qui e giochiamo. Tiralo tu il calcio, papà, io sto in porta. Che in porta Mircea ci sa fare. Un giorno contro la Minerul Luperi finisce ai rigori, e lui ne para sette. A 24 anni lo chiamano a giocare a Bucarest, lui arriva e vince il campionato. E lo chiamano pure in nazionale per il mondiale del '38. Ma il bello deve ancora venire.
Il bello viene a Roma, 14 aprile del '40, il giorno in cui Italia e Romania giocano una partita di qualificazione per il mondiale del '42, quello che il Brasile doveva ospitare e che la guerra cancellò. C'è l'Italia campione del mondo da una parte e la piccola Romania dall'altra. Hitler ha invaso Danimarca e Norvegia da 5 giorni, di lì a un mese sarebbe arrivato in Francia. Italia e Romania sarebbero diventate sue alleate tra maggio e giugno. E intanto giocano. Ehi, non prendere troppi gol, dicono al piccolo Mircea. Ma quella è la partita della sua vita. Un sogno. Altro che. Para tutto. Tutto. Quando finisce il primo tempo, pare sfinito. Si sdraia su una panca, vogliono dargli una spremuta di limone, non sanno che ha una costola incrinata. Ovvio che non vuole uscire. Comincia il secondo tempo e in porta c'è ancora lui quando la Romania va in vantaggio, 1-0, gol di Baratky. Eccolo, il bello. Piola si scatena, Mircea si scatena. Para sempre tutto. Racconterà: "Tutti gli italiani allo stadio avevano una sigaretta accesa. Ventimila sigarette accese tutte insieme. Arrivavano ondate di fumo che ci avvolgevano e ci asfissiavano". Arrivò pure un colpo alla testa. Un altro al fegato. Mica poteva perdere a Roma, nello stadio del partito nazionale fascista, l'Italia campione del mondo. Mircea sviene. Crolla. Quando lo svegliano, vede le facce intorno. L'allenatore vede la sua e capisce. Non esce neanche stavolta. E pazienza se finirà 2-1 per l'Italia. Dopo la partita, a tavola, un vescovo s'avvicina e gli dice, Figliolo scusi ma voglio controllare se lei per caso è fatto di gomma. Da quel giorno lo chiameranno il dio.
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