giovedì 1 aprile 2010

Bertrand-Demanes e il mondo di Amélie

bertra Chi diavolo è questo ragazzino che s'è fatto trovare al posto giusto nell'istante giusto? Avevo il numero 21 dietro la schiena e il 21 ce l'aveva pure quell'italiano magro magro che mi aveva appena fatto gol, colpendo la palla in mezzo a una carambola di piedi e pali. Lui si chiamava Paolo Rossi, stava giocando la prima partita in un Mondiale. Rimasi a guardare tutta l'Italia che lo abbracciava e poi a fissare i compagni che mi guardavano. Era la prima partita anche per me, Jean-Paul Bertrand-Demanes. Una partita cominciata benissimo.


Bossis mi aveva dato la palla all'indietro, io l'aveva presa con le mani, all'epoca ancora si poteva, e gliel'avevo restituita. Allora Bossis l'aveva fatta arrivare a Didier Six, un tipetto velocissimo che qualche mese prima aveva fatto impazzire i difensori della Lazio in Coppa Uefa con il Lens: 6-0, tre gol suoi. Six se ne va, la mette in mezzo e dopo neppure 40 secondi di partita Lacombe la colpisce di testa e fa gol. Francia 1, Italia 0. Invece subito dopo arriva quel ragazzino che per cognome aveva un colore e ci rovina tutto.


bdeman   Jean-Paul Bertrand-Demanes. Che nome, eh? Da filosofo esistenzialista, dite la verità. Oppure da antropologo. A 17 anni il Nantes mi aveva fatto firmare un contratto da professionista perché tutti i portieri s'erano fatti male e non ne avevano neppure uno da mandare in campo per la difficile partita contro il Marsiglia. Vennero a prendermi nella piccola squadra del Pauillac, mi misero in porta e vinsero 2-1. Oppure dovrei dire: vincemmo. L'esistenzialista e il Nantes insieme sarebbero poi andati a prendersi 3 scudetti. Chi lo avrebbe detto. Nel '73 mi aveva già chiamato la nazionale, ma ero solo il terzo di Baratelli e Rey. Ci credete? Si fecero male insieme poco prima del mondiale del '78, e allora toccò a me. Mi chiamavano Il Grande. Per via dell'altezza. Sopra il metro e novanta. Italia-Francia appunto. Solo che la mia seconda partita al Mondiale, Argentina-Francia, fu pure l'ultima. La ruota stava girando. Avevo benedetto gli infortuni degli altri, stavolta ne toccava uno a me. Luque calciò un pallone altissimo e arretrando verso la porta, picchiai con violenza contro il palo. Lussazione alla spalla, mondiale finito, da allora in nazionale non sono tornato più. Dieci anni dopo mi è saltato il tendine d'Achille. Eccome, se gira la ruota. Quando ho lasciato il calcio, l'ha lasciato per davvero. Ho fondato due società: una immobiliare, l'altra di gestione patrimoniale. Perché se proprio devo dirla tutta, io non voglio sputare dentro la minestra che ho mangiato, ma non voglio neppure passare tutta la mia vita a raccontare quanto fossero belli i tempi miei da calciatore. Chiuso. Anche allo stadio non ci vado quasi mai, solo se me lo chiedono gli amici. E quando ripenso a un gol subito con un tiro cretino, non sono il tipo che si dispera a distanza di anni, anzi, oggi mi viene da ridere.

il-favoloso-mondo-di-amelie  L'ultima volta che sono andato in campo, è stato al cinema. Non so se avete presente Il Favoloso mondo di Amélie. A me piace quando lei dice che l'angoscia del tempo che passa, ci fa parlare del tempo che fa. E comunque. Nei primi minuti del film. Quando Amelie vuole vendicarsi del suo vicino che l'ha presa in giro. Il vicino è davanti alla tv. Sta guardando una partita di calcio, Psg-Nantes, e allora le immagini vanno e vengono. La palla finisce prima a Fernandez, poi a Susic, e a Zaremba che segna. Ecco. Il portiere che prende gol sono io. Jean-Paul Bertrand-Demanes.

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