Quei libri mi riportano ai miei 12 anni di scuola pubblica, dove studiavo su testi nei quali nessuno assomigliava o parlava come me e la mia famiglia. E quando ho letto di gente che ci assomigliava, i personaggi erano cattivi, viscidi e corrotti, oppure - peggio - pittoreschi, buoni di natura e mistici. Sono cresciuta immersa in questa tradizione di ignoranza. Alla fine comunque ho visto la luce, o dovrei dire il buio.
giovedì 15 aprile 2010
Signora, e che dovrei dire io di Napoli?
Se avete amato Cavalli selvaggi, Oltre il confine e Città della pianura; se avete amato la Trilogia della frontiera di Cormac McCarthy, bene, sappiate che la vita da quelle parti non è come la racconta lui. Gliene conta quattro la scrittrice texana Christine Granados.
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2 commenti:
Mah. La critica della sciura sarà pure fondata, ma io non ho mai concepito la narrativa come documentario sociologico iperrealistico. (Gli editori italiani invece sì, ed è per questo che oggi sfornano quasi esclusivamente storie di amorucci adolescenziali che sembrano scritte, in brutta, dagli adolescenti stessi, o cronache da sala parto intrise di placenta che paiono scritte dall’ostetrica).
È anche vero che l’abuso di stereotipi può irritare se non addirittura stomacare chi in una certa realtà vive davvero (illuminante il tuo titolo su Napoli e i suoi cliché a volte comodi, faciloni e stantii), però io davanti all’autore di The Road non posso che togliermi il cappello, e a questa sciura (in cerca di notorietà?) non posso che rispondere con le parole iniziali di una mia (immaginaria) lettera di rifiuto editoriale pubblicata sul blog: Cu mmynkhja sìì?
Zio Scriba ha detto tutto e troppo bene.. davanti al mostro non ci si può che stupire e continuare a volerlo fare.. la realtà è davvero da lavandiaie e adolescenti (con tutti il rispetto per le lavandaie ovviamente)
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