mercoledì 14 maggio 2014

Ramón Quiroga e la marmelada del '78

Quiroga_figurina1978 Io, il venduto. Io, quello che aprì la porta all'Argentina. Io, Ramón Quiroga. Ve lo giuro sui miei capelli corti e le mie rughe: sono innocente. Le cose nel '78 sono andate così, e mi dovete credere. Il 21 giugno era il giorno decisivo: per la finale dei Mondiali si sarebbe qualificata la prima piazzata nel girone della seconda fase. Senza semifinali, la stessa formula del '74. Argentina o Brasile. L'Argentina quella sera aveva il vantaggio di andare in campo conoscendo già il risultato dei rivali. Sapeva che per farcela avrebbe dovuto vincere 4-0: contro di noi, il Perù, e in porta per il Perù c'ero io. Ma io sono nato a Rosario, Argentina, il Perù mi aveva solo offerto un passaporto e un posto in nazionale. E Argentina-Perù, quella sera, proprio a Rosario si giocava. La città di Che Guevara. La città di Cesar Menotti, il ct della nazionale che i generali volevano vedere campione del mondo.


Non solo i generali, a essere sincero. Anche il popolo argentino. Pure i dissidenti. E anche io, lo ammetto. Anche io. Nella nazionale argentina non avrei mai trovato un posto, per questo al Perù dissi di sì. Non avevano un problema con il numero nove né con il numero dieci, il problema ce l'avevano in porta. Guardate cos'era successo nel '70, un Mondiale rovinato da un portiere, Rubiños, pareva che le mani neppure le avesse.

peru  Per Argentina-Perù mi hanno messo in croce. La marmelada, dicono. Sì, come si dice: la torta. Ma riguardatevi le immagini, e poi mi dite cosa c'entro io. Anch'io penso che successero cose strane, quella sera. Se per esempio penso all'arbitro, sento puzza di bruciato. E anche se penso al guardalinee, l'italiano Gonella, poi arbitro della finale. Gli argentini ci fecero due gol in fuorigioco, ancora non ci posso pensare.






Molti volevano che non giocassi, questo sì. Lo volevano gli argentini perché avevano paura delle mie parate. Solo qualche giorno prima, avevo dato spettacolo contro la Polonia. Mi avevano dato del pazzo perché ero uscito con i piedi fino a metà campo.




Lo volevano i giornali di Lima, facevano pressioni perché fra i pali andasse Ottorino Sartor. Lo volevano anche alcuni dei miei compagni peruviani: tennero una riunione prima della partita e dissero che sarebbe stato meglio per me restare fuori. Quello che è meglio per me, se permettete, lo decido io. Ero in Argentina per giocare il Mundial e avrei giocato. Juan José Muñante era quello che insisteva più di tutti. C'era Teófilo Cubillas dietro di lui, sono sicuro. Era lui che manovrava tutti i giocatori dell'Alianza Lima contro il mio gruppo dello Sporting Cristal. Chi invece giocava nel Deportivo Municipal era Rodolfo Manzo. Avevo grande fiducia in lui, era un buon giocatore, oggi dico che la sua partita fu molto sospetta. La sua e quella degli altri difensori. Sul gol di Tarantini, Manzo si scansa e lo lascia solo. L'anno dopo andò a giocare al Velez Sarsfield, in Argentina. Quello fu il vero scandalo, non io. Ne parlai a Marcos Calderón, il ct, nell'intervallo, perché cambiasse un paio di giocatori, glielo chiese pure Chumpitaz. Ma lui non mosse un dito. Anzi. Più tardi fece entrare Gorriti, che regala il quarto o il quinto gol all'Argentina, adesso non ricordo. Alla fine furono sei. 6-0. Ma io penso che esiste Dio e che Dio ti castiga. Qualcuno si è venduto, di certo. Non so chi. So che alcuni in campo quella sera poi sono morti. Roberto Rojas, terzino. Non aveva quasi mai giocato, ma contro l'Argentina venne schierato fra i titolari: Rojas è morto in un incidente d'auto. Marcos Calderón invece è morto in un incidente aereo. A me è esplosa una bomba in uno stadio, eppure sono ancora vivo. Qualcosa significa, no?

Il Perù ai Mondiali del '78
 Il Perù ai Mondiali del '78
 Sono passati più di trent'anni. La gente mi saluta in strada, a tanti altri no. Girava pure una versione razzista. Dicevano che i corrotti erano i neri della squadra. Io stavo bene quella sera, ero in forma come sempre. Dovevo giocare per il Perù e lo feci. Se mi fossi venduto, non mi avrebbero certo chiamato in nazionale anche per il Mundial successivo, 4 anni dopo, in Spagna. Pensateci. In Spagna giocammo contro la Polonia e ne prendemmo cinque ma nessuno ha parlato, nessuno ha avuto niente da dire. Era facile farlo a Rosario, perché volevano colpire me che ero argentino. Cosa ci hanno regalato allora i polacchi? Con che cosa ci hanno comprato? Eppure quando si fa il nome di Quiroga si pensa ad Argentina-Perù. C'è chi racconta che quando bevo, con gli amici confesso la corruzione. Non dategli retta. Fernando Rodriguez Mondragon, figlio dell’ex capo del narcotraffico di Cali, in un libro di memorie ha scritto di aver saputo tramite uno zio che quella partita venne comprata. Ma io nel '78 ho portato a casa 500 dollari, non uno in più, era il premio della federazione peruviana per quel Mundial. E' vero però che nel nostro spogliatoio si presentarono Videla, il capo di stato maggiore Massera, Kissinger e altri militari della giunta argentina. Non ricordo bene se fu prima della partita o nell'intervallo, e non lo dico per togliere meriti a Menotti e a quella squadra. Si disse che i brasiliani ci avevano offerto 5.000 dollari a loro volta perché battessimo l'Argentina. Di certo non sono venuti a parlarne con me. Nello spogliatoio qualcuno mi raccontò che c'erano dei terreni a Rio a disposizione per noi, se il Brasile si fosse qualificato. Ma di dollari, no, di dollari non ho mai sentito parlare. In squadra piansero molti alla fine, sai che novità. In Perù piangono sempre. El Panadero Díaz sicuro che piangeva. Io no, perché dovevo? E comunque quella partita la rigiocherei, e la rigiocherei uguale. Era il mio lavoro. Dovevo difendere la porta del Perù e ci ho provato. Anche se sono un argentino. Anche se volevo che l'Argentina fosse campione.

(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Ramón Quiroga sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)

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