venerdì 30 maggio 2014

Pensieri sparsi su Ghost Stories dei Coldplay


È il disco che racconta la fine di un amore. È un disco impastato di quella malinconia lì. È un disco che, eccetera eccetera. Di Ghost Stories dei Coldplay questo si dice, questo si sta dicendo. Ma se Chris Martin non ci avesse raccontato che si stava lasciando con Gwyneth Paltrow, forse dai testi non ce ne saremmo nemmeno accorti. In fondo le canzoni questo sono: ti amo, mi manchi, resta cu' mme.

I Coldplay sono già pienamente nella fascia di artisti dei quali si deve dire che non sono più quelli di una volta, non sono più i "primi" Coldplay.

Always in My Head è una ballata in cui la voce di Chris Martin si sdoppia alla maniera dei migliori Police, la chitarra fa assai The Edge e se voi non pensate che sia un piccolo gioiello allora siete proprio delle brutte persone.

Che poi quando Sting si lasciò con la sua donna, si mise a scrivere Every Breath You Take. Io me ne starò a guardarti ogni passo che muoverai, ogni tuo respiro, e qua e là. Detto così pare l'inno nazionale degli stalker, invece è un'altra cosa. Sting raccontò che quando gli amori finiscono, in genere la gente si dispera, e invece con la sua disperazione lui almeno ci aveva fatto un po' di soldi.

Ora, sarà che mi fisso e mi impressiono. Ma il giro di basso di Every Breath You Take viene ossessivamente parafrasato (e sintetizzato) in True LoveJust tell me you love me, if you don't, then lie, oh lie to me, dimmi una bugia se non mi ami. Altro pezzo, questo, che non si può trattare con il naso arricciato, su. Se non altro perché Chris Martin mette dentro una canzone il finale di Scusate il ritardo. Diciamolo.

 

Ai sussurri degli altri dischi, qui Chris Martin preferisce i lamenti. È il registro che il grande Buildo accosta a quello che chiama il cantautorato dolente, io quando parla Buildo lo ascolto e memorizzo. Così poi mi sparo le pose sul blog. 

Per cantautorato dolente diciamo che si intendono le più diverse declinazioni dello struggimento d'animo: Jeff Buckley, Bon Iver, Damien Rice.

Dicembre 2000. I primi Coldplay. Scriveva Andrea Silenzi su Repubblica: "Il loro segreto, se di segreto si può parlare, è la naturale propensione per la sostanza. Secondo alcuni, esiste una regola non scritta nel mondo del rock che spinge ciclicamente gli appassionati verso artisti dalla vena malinconica e intellettuale: è successo in passato con i Velvet Undeground, con gli Smiths e più recentemente con i Radiohead. E proprio i Radiohead dell'era OK Computer, insieme a Jeff Buckley, possono rappresentare gli ideali punti di riferimento di una band capace di scrivere canzoni improntate sulla sola forza delle emozioni e totalmente slegate dalle logiche commerciali".

E comunque se Ghost Stories fosse il primo disco dei Coldplay, e non il sesto, si direbbero le stesse cose che si dissero di Parachutes.

Una cosa non capisco. Si dice che a questo disco manchi il tratto essenziale dei Coldplay, l'inno da stadio tipo Viva la Vida. Come se il tratto essenziale dei Coldplay fosse davvero quello. Semmai io penso a Yellow, Trouble, Fix You, eventualmente The Scientist. O Clocks. Ma non Viva la Vida, vi voglio bene. (In realtà uno dei loro pezzi più bello per me rimane Postcards from Far Away, solo piano, ma esagero sapendo di esagerare).

In ogni caso, un pezzo da gettare in pasto agli stadi con gli accendini accesi per fare alé-oò c'è anche stavolta. Si chiama A Sky Full of Stars. Ma niente di che.

Rispetto ai due dischi precedenti ci sono meno archi. Ma a voi ve ne importa?

Dentro ci sono fantasmi e notti insonni. Che forse sono meglio degli archi. Forse. Con tutto l'amore per il violoncello.

"Quelli che scrivono canzoni che sprizzano felicità di solito sono persone profondamente infelici, mi capita spesso di pensare alle cose della vita e mi sembrano terribili". Questo era Chris Martin una decina d'anni fa.

Se per caso vi ho dato un appuntamento e non mi vedete venire, mi trovate con il pollice sul tasto rewind di O, la ballata finale al piano.

In generale è il disco dei Coldplay meno orecchiabile degli ultimi anni. Se è l'indicazione di un nuovo tragitto lo capiremo al prossimo. Magari fosse così.

Sintesi: ho 15 anni in più, ma io non me la sento ancora di scaricarli.


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