Due a uno per noi, non fu neppure una giornata di chissà quali straordinarie parate per me, Mehdi Cerbah, 29 anni. Per lasciarmi arrivare alla partita nelle condizioni ideali, i dirigenti mi concessero lo straordinario privilegio di dormire la notte prima in una camera singola. Così avrei riposato meglio. Ci spostammo a Oviedo per le successive due partite e fu lì che all'improvviso smettemmo di essere simpatici. Perdemmo 2 a 0 con l'Austria e ci preparammo a quella che per noi doveva essere la partita decisiva, quella in cui ci saremmo giocati una storica qualificazione alla seconda fase. Contro il Cile. Il 24 giugno andammo in vantaggio per 3 a 0, tre gol segnati nel primo tempo, praticamente era fatta, ma negli altri 45 minuti scoprimmo che i sudamericani, già eliminati, non avevano più questa grande voglia di fare le valigie e tornarsene a casa. Smisero di non impegnarsi, ci fecero due gol e alla fine ci rovinarono.
Per passare il turno, avremmo dovuto aspettare il giorno successivo, il giorno di Germania-Austria, e sperare che non finisse 1 a 0 per i tedeschi, risultato che avrebbe qualificato tutt'e due le squadre grazie alla differenza reti, ed eliminato noi. Fu una delle più sporche truffe di tutti i tempi. Hrubesch fece gol dopo 10 minuti e negli altri 80 non successe nulla. Nulla in campo, se non una melina insistita e neppure fatta bene. Dopo mezz'ora di partita i 45mila spettatori dello stadio Molinon di Gijon cominciarono a fischiare. Una folla nella quale c'erano anche i nostri, con le bandiere biancoverdi e la mezzaluna. Capimmo presto come sarebbe andata a finire, i simpatici erano diventati antipatici, dei rompiscatole, Germania e Austria dimenticarono la loro rivalità, non ci fu neppure bisogno di dirsi nulla, anche se parlavano la stessa lingua. Qualcuno tra i nostri tifosi cominciò a lanciare oggetti in campo, ci fu chi tentò di invadere il campo. Gli spagnoli, neutrali, iniziarono a urlare Argelia, Argelia. Agitavano fazzoletti bianchi, il segno della protesta e del disprezzo. Sekkal, presidente della federazione seduto in tribuna, si alzò in piedi e cominciò a salutare la folla. E sul campo la recita proseguiva. Al posto dell'arbitro sarebbe stato bello inventarsi un rigore, per vedere gli austriaci come se la sarebbero cavata.
La polizia cominciò a picchiare i nostri. Caddero insulti sul presidente della Fifa, Havelange. La gente urlava Fuera fuera, fuori, fuori tutti, i tedeschi, gli austriaci, l'arbitro, la Fifa: andatevene tutti. Schumacher, il portiere tedesco, era travolto dai fischi. Si voltò verso il pubblico e gli fece un gesto. I giornalisti tedeschi e austriaci in tribuna stampa ruppero il loro imbarazzo cominciando a gridare Toto nero, Toto nero: in italiano. Ma non sarebbe successo niente. Tutti avevano visto, tutti scrissero, nessuno decise. Alla domanda di un giornalista algerino, Havelange rispose: "Per favore, questo è il mondiale di calcio dei professionisti. Se volete frequentare certi sogni, avete a disposizione le Olimpiadi". Vinsero i turisti tedeschi. Erano in maggioranza, avrebbero invaso la Spagna: cosa potevano fare le nostre povere bandiere con la mezzaluna? La Fifa ammise senza ammettere quattro anni dopo, quando venne introdotta la regola della contemporaneità delle partite dei gironi, all'ultima giornata.
L'Algeria del 1982 |
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Mehdi Cerbah sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
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