venerdì 9 maggio 2014

Tomaszewski, il clown di Wembley

toma3Clown. Così mi chiamò Brian Clough, che in Inghilterra all'epoca allenava il Derby County. Anzi. Un clown con i guanti, disse. Solo perché qualche volta respingevo con i pugni, quando a suo dire potevo bloccare il pallone. Clown, boh, può darsi pure. Ma andiamo in campo e vediamo chi è Jan Tomaszewski. Loro, gli inglesi, avevano inventato il calcio. Noi, polacchi, a un Mondiale c'eravamo stati solo nel '38 e non se lo ricordava nessuno. Da quando nel '50 aveva deciso di uscire dal suo superbo isolamento, l'Inghilterra non aveva mai fallito una qualificazione. 17 ottobre 1973, ultima partita del girone. O noi, o loro: una delle squadre sarebbe rimasta a casa, l'altra sarebbe andata in Germania.


Kazimierz Gòrski, il nostro ct, ci riunì dentro lo stanzone dello spogliatoio di Wembley e disse che avremmo potuto giocare anche per vent’anni in nazionale, anche per mille partite e non essere ricordati da nessuno. Disse: "Ma arriva una sera in cui avete la possibilità di scrivere il vostro nome nei libri di storia”. La sera era quella.

Tomaszewski a Wembley nel 1973
Tomaszewski a Wembley nel 1973
 Arrivammo a Londra come dei brutti anatroccoli, alla fine risalimmo in aereo per tornare a casa sentendoci dei cigni. Dopo aver perso in Polonia e aver pareggiato a Wembley con il Galles, gli inglesi avevano un solo risultato a disposizione: la vittoria contro di noi. Il ct inglese Alf Ramsey aveva chiesto che il campionato fosse sospeso per preparare meglio la partita della nazionale, per avere più freschi i suoi. Gli risposero con una risata in faccia. Il povero Ramsey, allora, imboccò la strada del coraggio, senza immaginare che lungo quella via in genere si rimane soli. Decise di tenere fuori i più stanchi. Bobby Moore, per esempio. Il capitano. Il simbolo. Diede la maglia a Norman Hunter e la fascia da capitano a Martin Peters. Giocarono nella nostra metà campo per quasi tutta la partita, ma in porta c'ero io. Il clown. Li feci piangere. Parai con i piedi e con le mani, tiri rasoterra e sotto la traversa. Dopo 10 minuti del secondo tempo, al primo contropiede, Shilton si fece scivolare la palla: Domarski segnò l'uno a zero. A tragedy, urlava il telecronista, mentre Wembley rimaneva in silenzio. Otto minuti e Clarke avrebbe pareggiato su rigore. Ma nell'ultima mezz'ora non segnarono più. La Polonia ai Mondiali, l'Inghilterra a casa. I giocatori inglesi uscirono così frustrati che rinunciarono alla cena ufficiale dopo la partita. Un paio d'anni più tardi incontrai Clough in una trasmissione tv, mi disse di aver sbagliato a dire quello che disse, e va bene, gli risposi, per me finisce qui, ci stringemmo la mano, e basta. Ammettere un errore è un passo da grande uomo. Che me ne facevo del rancore? Tanto ai Mondiali eravamo andati noi. Il Sun titolò: La fine del mondo. Dipende. Per noi era il contrario. il mondo cominciava allora.
 

  I miei erano stati espulsi da Vilnius durante la seconda guerra mondiale, per questo sono nato a Wroclaw. Mia madre mi ha cresciuto dicendomi che ero un ragazzaccio, che non c’erano speranze di diventare un uomo decente: beh, non è proprio il massimo per la tua autostima. Eppure sono arrivato in nazionale in un giorno solo. La Polonia giocava contro la Germania dell’est, Jan Gomola era infortunato, il suo vice Piotr Czaja influenzato. Restavo io. Te la senti, mi domandarono, e non è il genere di domanda a cui si risponde di no. Perdemmo 3 a 1, giocai malissimo. Metà Polonia avrebbe voluto mandarmi fuori dal Paese. Solo metà. L’altra metà mi avrebbe impiccato. Quando giocammo la famosa partita di Wembley, ancora non mi avevano perdonato. E' stata la più grossa soddisfazione della mia vita. Ho cominciato a essere Tomaszewski. Tutto può essere comprato, tranne un posto nel cuore dei tifosi. Ho un video della partita, ogni tanto a casa lo mettiamo, vengono gli amici e dicono Dai Jan, rivediamolo ancora. Una partita che cambiò l'idea che avevamo di noi. Una squadra che trionfa sugli inglesi ha il diritto di non avere più paura di nessuno. Fu la spinta per giocare il bellissimo Mondiale del '74, in Germania ci sembrava tutto facile: era come guidare una Skoda dopo che ti sei fatto un giro su una Mercedes. Un’altra chiave di quella sorprendente Polonia fu la libertà, furono le sigarette e il vino. Gorski era un padre per noi, sapeva di cosa avevamo bisogno per toglierci di dosso lo stress. Certe volte ce ne stavamo fino alle tre del mattino a bere birra nella sauna dell'hotel. C’era così tanto da vivere in Germania, chi lo immaginava, era come uno shock.
Tomaszewski e il rigore di Hoeness ai Mondiali del '74
Tomaszewski e il rigore di Hoeness ai Mondiali del '74[
Sono diventato il primo portiere a parare due rigori nella stessa Coppa del mondo: allo svedese Tapper e al tedesco Hoeness. Su una cima tanto alta non sono salito più. Due anni dopo i Mondiali, nella finale olimpica del '76, presi due gol veramente stupidi. Non era neppure la prima volta, questo lo devo ammettere. Grzegorz Lato raccontava spesso che una volta il suo Stal Mielec aveva battuto 7-0 il mio Lodz, avevo preso due gol in un quarto d’ora ed ero sparito dalla partita. Quando ho smesso, ho capito presto che da allenatore non sarei durato abbastanza. Che cosa mi restava? La politica. Non avevo uno slogan, avevo una linea. Se dieci persone sostengono che una cosa è bianca, allora io dico che è nera. Solo così la gente si ricorda di te. Sono diventato un bastian contrario, un provocatore. Mi chiesero dei mali nel calcio polacco, alla federazione mandai a dire che quando un bordello non guadagna, non dipingi le pareti ma cambi le ragazze. Scandalo. E se la Polonia continua a essere questa nazionale qui, vuol dire che farò il tifo per la Germania. Altro scandalo. Che ci posso fare, sono così. Il calcio è un gioco per maschi. Non posso credere che ci fossero gay intorno a me durante la carriera, altrimenti sarei uscito dallo spogliatoio, oppure avrei chiesto a loro di andare a cambiarsi da un’altra parte. Nuovo scandalo. Chi vuole attaccarmi, adesso, dice che in fondo aveva ragione Clough. Ma io sono questo. E i giornalisti nelle loro redazioni scherzano così: "Mancano cinque minuti alla chiusura e non abbiamo un titolo, su, telefonate a Tomaszewski".

(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Jan Tomaszewski sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)

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