
Quel giorno a Valladolid, la Francia vinceva 3-1. Poi Giresse. I miei compagni in difesa si fermarono e alzarono la mano. Giresse si avvicinò alla porta e fece gol sul palo alla mia destra. Mentre la palla veniva riportata al centro del campo, la Francia richiamava in panchina proprio Platini, e noi eravamo ancora lì a protestare con l'arbitro Myroslav Stupar. Stupar era un sovietico nato in Ucraina, a suo tempo portiere, come me, aveva giocato fra il '58 e il '69, nella squadra riserve della Dinamo Kiev e in altri club come lo Spartak Stanislav, la Volyn Lutsk, la DinamoKhmelnytskyi e lo Spartak Ivano-Frankivsk.

La Fifa cancellò il nome di Stupar dalla lista degli arbitri internazionali. Il risultato sul campo venne omologato. La nostra federazione fu multata di 5mila sterline, ma ci lasciarono regolarmente giocare la terza partita del girone, contro l'Inghilterra: la perdemmo, solo per 1-0. Tornammo a casa con il bellissimo ricordo del debutto, una partita che sorprese tutti, e da noi chiusa sull'1-1 contro la Cecoslovacchia. Quando Saddam Hussein invase il Paese, nella notte fra il primo e il 2 agosto del 1990, il volo 148 da Londra a Kuala Lumpur della British Airways aveva fatto scalo all'aeroporto di Kuwait City. I 367 passeggeri e i 18 membri dell'equipaggio furono presi in ostaggio, a bordo c'era lo sceicco che era sceso in campo a Valladolid. Gli iracheni riconobbero che faceva parte della famiglia reale. Al Sabah venne ucciso, il suo corpo venne oltraggiato anche dopo la morte. Il Kuwait ha fatto tanto per me. Sono nato a Beirut l'anno dopo in cui i francesi, sempre loro, accettarono l'idea che diventasse la capitale del Libano. La città accolse molti profughi ebrei allontanati dai paesi arabi, un anno ancora e arrivarono anche profughi palestinesi. Avevo 11 anni quando scoppiò la prima guerra fra cristiani e musulmani. Il Kuwait mi aprì le porte mentre la guerra civile stava praticamente radendo al suolo Beirut. Il calcio era appena nato, in Kuwait lo avevano portato gli inglesi delle compagnie petrolifere, negli anni '50. Il primo campionato fu del '54, poi cominciarono a venire tecnici brasiliani per insegnare. Al Mundial del 1982 avevo 35 anni. Era la mia ultima occasione. La qualificazione aveva dato a ognuno di noi un pacchetto premi composto da una Cadillac, un appartamento nel grattacielo più bello della capitale, un viaggio di tre mesi e un pezzo di terra nel deserto. In un paese in cui scuole, ospedali e telefoni erano gratis, un paese senza tasse, con automobile e casa a carico dello Stato per i disoccupati, quel Mundial fu una festa di popolo. La compagnia aerea nazionale organizzò cinque jumbo gratuiti per i tifosi, venne comprato un albergo in Spagna per evitare problemi di alloggio all'estero, e lo Stato acquistò e distribuì 10 mila televisori a colori per chi era rimasto a casa. Ma a Valladolid dissero che eravamo stati una vergogna. Noi chiedevamo solo giustizia. Sbagliarono altri. Sbagliò chi fece entrare Al Sabah sul campo, sbagliò l'arbitro a non rimanere della sua opinione. Proteste più scomposte della nostra, ormai si vedono sui campi ogni giorno. E oggi nessuno ride più degli sceicchi e delle loro squadre, nessuno parla più di spettacolo penoso. Neppure i francesi.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite ad Ahmed Al Tarabulsi sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
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