«In genere festeggio a Berlino, città straordinaria, dove i bus sono in servizio tutta la notte, mentre qui l'ultima Cumana è alle 21 e 41, e devi prendere l'auto per una pizza, per andare al cinema, per andare al teatro», allarga le braccia nel suo rifugio ai Gerolomini, dove un pianoforte in un angolo racconta di un'antica passione tramandata alla nipotina. Quella più grande si chiama invece politica, e arriva da papà Giovanni, professore di matematica e fisica, un socialista che dopo aver marciato per protestare contro l'omicidio di Matteotti, deve lasciare Reggio Calabria e trasferirsi a Torino. Una famiglia di ferrovieri, i Puntillo. «I più fortunati sono stati gli ultimogeniti. Senza il posto fisso da ereditare, hanno potuto studiare». Mamma Lyvia, amica intima di Vera Lombardi, insegnava filosofia: stessa laurea che Nora avrebbe preso nel 1960, senza mai ritirare la pergamena. «Quando andò in pensione, si sentì male. Così chiese di rientrare nei ranghi e insegnò per altri quattro anni. Per i miei genitori era un disonore avere due alunni bocciati agli esami di Stato, e perciò finita l'estate davano lezioni gratis».
Una casa in cui Pertini e De Martino erano figure familiari. «Io volevo andare più avanti e mi sono ritrovata comunista». Iscritta al Pci nel 1956. «Fino a quando dal partito non sono sparite tutte le lettere. Il Pds prima e i Ds poi». L'ultima candidatura con la Quercia è stata alle Regionali del '95, a sostegno di Giovanni Vacca presidente. «Credo che ora mi iscriverò al Partito democratico, ma tenendomi lontana da riunioni, assemblee, congressi e correnti». Anni Settanta. Valenzi sindaco. Il primo sindaco comunista. «Una giunta consapevole della centralità della comunicazione». Tanto che Nora si inventa la lettera di Valenzi ai napoletani. «Caro concittadino», c'è scritto sul volantino che gli automobilisti trovano infilato sotto il tergicristalli come se fosse una multa, alla vigilia di Natale. «Non costringermi a usare il carro attrezzi», scriveva Valenzi a quelli che per lo shopping di dicembre ingolfavano le strade. «Autisti che svenivano, vie bloccate anche per 14 ore, telefoni in tilt: le scene erano queste. Ebbene, funzionò. Trasformammo Napoli in una colossale isola pedonale. Scrissero gli autisti Atan: grazie sindaco, finalmente abbiamo pranzato coi nostri familiari. Io sono certa che se Valenzi avesse consultato i commercianti, non si sarebbe potuto fare nulla. Ed è una lezione che oggi non ascoltano».
Oggi, ecco la Napoli di oggi con gli occhi di Nora: «Desolante. C'è la sciatteria al potere. Una crudeltà. L'immagine è quel semaforo in piazza Dante che fa durare il verde per i pedoni appena un secondo. Neppure Mennea riuscirebbe ad attraversare. E se il semaforo non mi rispetta, perché io dovrei rispettare il semaforo? Oggi esistono display, sms, televisioni: i cittadini andrebbero informati. Non puoi aprire un cantiere da un giorno all'altro». La Napoli di Valenzi, e di Nora cronista in prima linea, è quella in cui «l'assessore Scippa respinse imprenditori arrivati in città per costruire un maxi-parcheggio sotto piazza Plebiscito. I parcheggi di interscambio c'erano davvero. Gratis. E ti davano anche il biglietto per l'autobus. Oggi lasci l'auto fuori la stazione del metrò in periferia e te la saccheggiano. Fermare le auto è una scelta culturale. Chi non gira in auto, legge di più. Sui bus, sui treni. Meno traffico significa più democrazia: così disse un giorno Aldo Masullo. Se a Napoli si potesse passeggiare, perdoneremmo persino l'immondizia».
La Napoli di Nora in trincea è quella che negli anni Ottanta porta a Scampia la campagna "Viva il verde", con quasi tremila alberi piantati e adottati dai bambini del quartiere. «Fu un' iniziativa del Comune, di Paese Sera e Forestale, a imitazione di quello che aveva fatto Novelli a Torino. Ogni albero portava la targhetta col nome di un bambino, e al mattino c'erano file di ragazzini con le bottiglie in mano che andavano a curarli. Certo, gli alberi non erano omogenei al resto della vegetazione. Ma valeva l'idea. Poi rubarono le targhette di metallo, e noi le mettemmo in plastica. D'inverno, i nomadi presero le aste di legno per fare il fuoco e riscaldarsi, ma quegli alberi di quasi trent'anni fa sono sempre lì, davanti l'ex casa del popolo e davanti a qualche scuola. Un compagno di Scampia mi ha detto che c'è chi li chiama ancora gli alberi di Nora».
(Repubblica Napoli. 5 ottobre 2008)
(Repubblica Napoli. 5 ottobre 2008)
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