QUESTA è la storia di "due poveri illusi" che stasera possono vincere il festival della canzone italiana. Lei, Deborah, cantava ai matrimoni nei dintorni di Ragusa e disegnava gioielli, «nel laboratorio pomeridiano dell'istituto d'arte dove mi sono diplomata. Ne ho progettati, disegnati e realizzati: in ottone, bronzo e alpacca. Adesso? Adesso i gioielli solo me li metto», e la cadenza siciliana è ancora là. Lui, Giovanni, s'era iscritto al Politecnico di Milano, architettura, dopo un 100 al liceo scientifico e una borsa di studio in art direction. Gli chiedevano dove mai credesse di andare con quella sua passione per la musica, partendo da Modica, e poi – andiamo - con quel cognome no. «Una casa discografica mi ha tenuto fermo sostenendo che Caccamo non potesse funzionare. Ma le alternative non erano migliori, e poi io ci tenevo. È il cognome di mio padre, faccio musica per lui». Un papà che lo ha lasciato orfano quando era poco più di un bambino, undici anni: adesso è più il tempo trascorso senza. «Ha fatto in tempo solo a sentirmi suonare la chitarra. Così, per reazione, dopo la sua morte la chitarra non l'ho più toccata per anni. Mi sono messo a studiare il pianoforte e ho sentito il bisogno di scrivere. Erano cose tristissime, molta carta straccia, ma la musica piano piano è diventata terapia e rifugio».
I "due poveri illusi" sono partiti dalla stessa scheggia di Sicilia. Ogni anno Deborah Iurato faceva provini, e ancora adesso pare uscita da un fotogramma di un film di Tornatore: domani è un altro giorno. «Per cinque anni di fila ho cercato di entrare nel cast di Amici, altri talent non li prendevo nemmeno in considerazione». A casa le dicevano di insistere, «ma intorno c'era chi mi trattava come una disperata, una che non s'arrendeva all'idea che bisognasse avere una raccomandazione», mentre lei prendeva lezioni di canto, dieci anni in tutto, dall'insegnante Laura Nadi, una donna che ogni quindici giorni scendeva in Sicilia da Piombino. Poi è arrivata Maria De Filippi, il resto si sa.
Più o meno mentre Giovanni Caccamo pedinava Franco Battiato sulla spiaggia di Donnalucata, quella del commissario Montalbano, per consegnargli un cd con le sue creazioni. «Non avevo soldi per un tour, non avevo un pubblico, giravo l'Europa in treno con pochi spiccioli suonando in casa di chi potesse offrirmi un pianoforte e un salotto con una platea di amici per esibirmi». Adesso che è in pace con se stesso, ha firmato un atto di pace con la chitarra («l'ostilità è caduta») e guarda due film al giorno «perché il cinema mi aiuta a scrivere».
Hanno unito le loro storie per un esperimento intitolato Via da qui (il brano composto da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro) e dalla provetta sono usciti favoriti di Sanremo. La coppia, si sa, qui parte sempre con un paio di metri di vantaggio. Superata l'età dei pionieri (Nilla Pizzi e Achille Togliani) e quella dei classici (Modugno- Cinquetti, Bobby Solo-Zanicchi), quando si gareggiava in coppia per regolamento e chi non lavorava non faceva l'amore, il festival s'è spesso gettato fra le braccia di chi si guardava occhi negli occhi lasciando che le rime si baciassero. Se Al Bano e Romina erano il riflesso canoro della perfetta famiglia italiana anni Ottanta nel Sanremo di Gianni Ravera, Fausto Leali e Anna Oxa aprirono il filone dell'amore lacerato fra possesso e libertà ("Ti lascerò anche sbagliare"): così saremmo poi arrivati a Non amarmi (Baldi- Alotta) e al trottolino di Vattene amore (Mietta-Minghi, terzi). Quelli che sanno intuire l'aria che tira, giurano che è arrivato il turno della coppia teen. Del resto se ce l'hanno fatta Giò Di Tonno e Lola Ponce, c'è una speranza per tutti.
(la Repubblica, 13 febbraio 2016)
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