lunedì 15 febbraio 2016

La crisi dei comici a Sanremo

I coniugi Salamoia
Comico una volta voleva dire qualcosa. Senza spingersi fino a Bachtin e Bergson, basterebbe fermarsi alle parole che Benigni consegnò nel 2002 a questo stesso palco, chiudendo così una vigilia di polemica politica segnata dalle proteste della destra per la sua presenza: «I comici infrangono le regole, fanno quello che gli pare, sono viziati come bambini, ricchi d'amore, si farebbero ammazzare per quello che amano. Contrabbandieri senza licenza. Hanno il potere di far ridere e piangere: il potere più grande del mondo. Non li si può imprigionare». Figurarsi se a mettergli le manette è la banalità.
Chissà cos'è successo a questo Festival, ora che invece i comici passano di qui e si scoprono esili, rauchi di fantasia, inariditi. Uno dietro l'altro sono stati inghiottiti tutti. Un'icona del roman-popolare come Enrico Brignano, una carriera al di sopra di ogni sospetto d'intellettualismo, arriva a Sanremo dove secondo cliché avrebbe dovuto giocare in casa - e invece s'impantana, scegliendo di chiudersi dentro la gabbia di un numero che contiene in sé il doppio registro del lazzo e dell'austerità, tanto da essere individuato alla fine come presunto alfiere dell'ideologia contro-arcobaleno. Quando forse era solo un testo poco ispirato.
Per superare lo shock dei coniugi Salamoia, l'Ariston confidava almeno nell'arrivo di Aldo Giovanni e Giacomo, passati a ritirare un premio alla carriera, loro che sono stati fra gli innovatori più recenti della comicità in tv. Sarà stata l'emozione o la maledizione di Gabriel Garko, deciso a rimanere il solo uomo in grado di far ridere in questo Sanremo, pure loro sono finiti dentro la palude dell'ovvio. Aiutaci tu, Fiorello, si sono allora detti in Rai: come già aveva fatto nel 2001 e 2002, duettando con la Carrà e poi lanciando il tocco sotto la cintura a Pippo Baudo.
Se non ci fosse stata Virginia Raffaele, ricorderemmo questo Sanremo come il più sconsolato, perfino più di quello che un anno fa avvolse di grigio Cirilli e Panariello, tornato anche ieri a parlare di prostata insieme a Pieraccioni o del colore della pelle del vecchio amico Conti. Con un accento fiorentino che accentua la nostalgia per Nuti. Eppure, su questo stesso palco, le risate in passato hanno provocato sconquassi. Il trio Solenghi-Marchesini-Lopez fece infuriare nel 1989 il Vaticano con uno sketch giudicato blasfemo. Nel 1980, anno in cui la Rai ancora trasmetteva solo l'ultima serata, un Benigni ventottenne aveva scandalizzato per un Wojtylaccio detto al papa. Quando l'anno dopo al Festival arriva Troisi, la Rai gli chiede di leggere i testi in anticipo. Lui abbozza, dice che parlerà dell'Annunciazione, del terremoto in Irpinia, del presidente Pertini, e tutto questo già accende il terrore negli occhi dei funzionari. Di più quando Troisi aggiunge: «Per il resto improvviserò». Finisce che gli tagliano lo spazio a disposizione mettendo il veto a battute scabrose, così Troisi fa la sola cosa possibile: saluta e se ne va. 
Non c'è nessuno in Rai che oggi chiederebbe a un ospite di leggere i testi in anticipo. Per non sbadigliare. Dev'essere per questo vuoto da colmare che Grillo vuole tornare a fare solo il comico.

(la Repubblica, 14 febbraio 2016)

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