giovedì 18 febbraio 2016

Dentro l'orchestra di Sanremo

Il ragazzo che in seconda fila suona il flauto e che apre il pezzo degli Stadio, un anno fa di questi tempi era seriosamente impegnato a leggere lo spartito dei Dialoghi delle carmelitane di Poulenc, in cartellone al Petruzzelli di Bari. Cosa di un certo spessore e di un certo peso, a maggior ragione se il confronto è con i Dear Jack. Simone De Franceschi è al suo primo Sanremo, lui che è nato proprio qua, 25 anni, figlio di un fagottista mai stato al festival per un motivo semplice: dalla musica pop i fagotti sono come banditi. “Ho saputo tre settimane prima che si cominciasse. C’era un posto vuoto da flautista, ed eccomi: un’esperienza incredibile e inattesa”. L’orchestra che accompagna i cantanti a Sanremo nasconde storie di strumentisti che nell'ombra dedicano la loro vita alle note. Ventotto archi, un flauto (Simone), un oboe, due corni. “Ho studiato all'accademia di Santa Cecilia, a Roma. Il mio sogno sarebbe entrare in una sinfonica. I Berliner, be’, quello sarebbe davvero il massimo”. Li abbiamo visti in questi giorni assorti, altre volte commossi, come la violinista Chiara Antonutti per l’esibizione di Ezio Bosso.
Sulla destra dello schermo siede invece la sezione ritmica: tre chitarre, tre tastiere, un basso, una batteria, due percussionisti, un pianista. Maurizio Dei Lazzaretti, origini leccesi, romano d’adozione, 54 anni, al sedicesimo festival. “A quattro anni la batteria era poco più di un gioco. Adesso è sempre un gioco però mi pagano. Ho suonato per vent'anni con Lucio Dalla, sono stato in giro per il mondo con Al Bano. Lo strumentista non può permettersi di fare lo snob. Prima viene il lavoro, la professione, da svolgere nel migliore dei modi e dopo vengono i gusti personali. Siamo umili servitori della musica”. Giovanni Boscariol, veronese, 47 anni, è a Sanremo dal 2005. Un tour con Ramazzotti. “Duke Ellington diceva che esistono due tipi di musica: quella fatta bene e quella fatta male. Mi spiazza sempre un po’ quando i ragazzi chiedono come si fa a diventare famoso. La celebrità non c’entra nulla col piacere di suonare. Restare in seconda fila è una scelta. Non mi è mai interessato diventare una star, a me piace suonare.”

Gli spartiti delle canzoni sono arrivati agli orchestrali il 7 gennaio. Prima si sono visti per le prove a Roma, poi a Sanremo. “Certo, se un pezzo ti piace, la partecipazione emotiva è diversa”, continua Dei Lazzaretti, “ma bisogna saper trovare la misura dentro di sé: suonare senza essere né sguaiati né freddi”. Il tour è un’altra cosa. Boscariol lo spiega con un’immagine felice: “Nel quintetto di un tour puoi, anzi devi, essere più creativo. In un’orchestra come questa devi controllarti. E’ come entrare in un parcheggio con una macchina. Se è vuoto, puoi anche metterti di traverso, ma se ci sono cinquanta macchine devi stare dentro le strisce”. E lo snobismo del resto del mondo musicale verso il festival? “E’ come con Berlusconi”, dice Boscariol, “nessuno diceva di votarlo poi però era sempre al governo. Tutti dicono di non guardare Sanremo ma tutti ne parlano”.

Francesco Santucci, perugino, 50 anni, sassofonista, è il solo superstite a Sanremo dell’orchestra Rai. E’ pure il veterano: venticinque festival, più di tutti. “Gli altri colleghi sono a Roma. Sanremo è un momento della vita, poi si finisce e si va avanti”. Lui ha accompagnato in concerto Gloria Gaynor. All'Ariston ha fatto l’assolo nel medley di Ramazzotti mercoledì sera. “Negli anni 80 e 90 il mio strumento aveva un ruolo più centrale, ora meno. Sono cresciuto nel mito di Fausto Papetti. Il suono di un sax è da sogno, sa essere dolce e violento, sei tu che devi dargli la sfumatura giusta. Uno spartito ben scritto ti trasporta, indipendentemente dal genere che sta in cima ai tuoi gusti. Non bisogna essere dogmatici. Ci sono alcune cose di Beethoven che non sono all’altezza dei suoi capolavori e ci sono arrangiamenti di Geoff Westley che sono musicalmente straordinari”.

Chiuso il festival, l’orchestra così come l’abbiamo vista in tv si scioglie. La sezione sinfonica di Sanremo rimane insieme, quella ritmica si sparpaglia per conto suo fino all'inverno successivo. A meno che. “A meno che non ci sia un contrattempo per qualche band in tour in giro per l’Italia. Quando un cantante si trova in emergenza e vuole andare sul sicuro, chiama noi che siamo stati insieme a Sanremo”. L’orchestra Wolf risolve problemi.

(la Repubblica, 18 febbraio 2016)

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