Hanno rotto gli argini delle riserve, sfondato i confini dei talent e sono barbaricamente calati nella culla della tradizione, per sbranarla o reinventarla. Mai così tanti e così giovani, 15 su 28 tra big ed esordienti sono sotto i trent'anni, tutti insieme sul palco dell'Ariston, il teatro che sbuca a metà di questa stradina resa ancora più stretta da transenne che provano a contenere ragazzine accalorate. In alto un maxischermo che in bianco e nero manda la lacrima sul viso di Bobby Solo, e in basso loro, polpastrelli e french che tormentano gli smartphone. Le loro mamme erano qui per i Duran Duran, gli ospiti stranieri con cui Sanremo provò a sfondare nella platea sotto i vent'anni. Dovettero inventarsi il Palarock e portarci Bon Jovi con Paul Simon. Ora basta che passino i Dear Jack e urlano.
Se le vie del consumo musicale sono state stravolte in questi anni, perché avrebbe dovuto resistere il festival nella forma che conoscevamo? Il maestro Adriano Pennino, arrangiatore, a Sanremo dirige l'orchestra per gli Zero Assoluto, e trova che «questo avvicendamento sia del tutto naturale, prima si arrivava da Settevoci e Castrocaro, adesso da Amici e X Factor.
Noi ci stupiamo ancora, come se questi ragazzi fossero degli illegali, degli abusivi nel nostro mondo, perché nella loro ascesa e nella loro affermazione c'è qualcosa di prepotente. Ma è solo il nuovo che avanza. A me pare assai cresciuto il livello medio, a fronte casomai di un conformismo compositivo. I centri di produzione si somigliano. È un panorama con tantissimi artisti da 6,5 ma punte da 9 un De André, un Paoli, un Pino Daniele - non ne vedo ancora».
Ci sono Big con un solo disco alle spalle e dietro già premono le Nuove Proposte, dalle quali non abbiamo ancora ascoltato né una sillaba né una nota, eppure di loro sappiamo tutto, perché la fabbrica dei giovani è una macchina potente che gioca a tutto campo. Intorno ai fenomeni emergenti della canzone italiana, ce ne sono altri giù dal palco, ragazzi che si sono inventati un lavoro fra le note e accompagnano questa scalata. Le case discografiche hanno affidato la comunicazione a laureati fra i 25 e i 30 anni, molte ragazze. Scienze della comunicazione, lingue straniere, qualcuno viene da lettere. Scrivono tweet e post: curano i social media. Fanno da consiglieri, manager, qualche volta da ghost writer. Lo scontro generazionale è andato avanti a lungo, tutto sommato senza grossi spargimenti di sangue. Ai campioni della classicità, raccontano le cronache dal passato, si opponevano di volta in volta gli avveniristi, i falsettisti, gli urlatori, i beat, gli yé-yé, i capelloni, i cantautori.
Ma ora è un'altra cosa. Questa è un'opa ostile. Fino a metà anni Sessanta i giovani a Sanremo non erano neppure in giuria. Ci arrivarono nel '67: due studenti delle medie, due delle superiori, due universitari, cinque lavoratori. Non vinse uno dei loro. Fu anzi il festival che costò la vita a uno studente di ingegneria elettronica che viveva a Recco con la madre, di nome Luigi e di cognome Tenco. Trionfò Claudio Villa, i ragazzi fuori dall'Ariston alzarono cartelli con lo slogan "Facciamo l'amore, e non la guerra" e gli gridarono "Bidone, bidone". Hanno continuato a perdere, nel 2000 da un Peppe Servillo cinquantenne: quel pezzo colto degli Avion Travel citava l'operetta. Le case discografiche non gradirono: le radio non lo passavano, i cd non si vendevano. Nel 2010 ha vinto il primo sessantenne, Roberto Vecchioni, probabilmente l'ultimo. Lorenzo Fragola, siciliano, 20 anni, al suo secondo Sanremo dopo una vittoria a X Factor nel 2014: «Siamo tanti? Io spero che possanno esserci sempre più storie come la mia». Caccamo-Iurato, per esempio. Ragusani, sotto i trenta, nati solisti, lei ad Amici, e qui un prodotto in vitro. Negli ultimi cinque anni social, app, nuvole e televoti hanno prodotto il mutamento genetico di Sanremo. Un pezzo della tradizione italiana è fra le mani dei ventenni. E allora musica, ragazzi, avete vinto. Solo una cosa: non stonate.
Se le vie del consumo musicale sono state stravolte in questi anni, perché avrebbe dovuto resistere il festival nella forma che conoscevamo? Il maestro Adriano Pennino, arrangiatore, a Sanremo dirige l'orchestra per gli Zero Assoluto, e trova che «questo avvicendamento sia del tutto naturale, prima si arrivava da Settevoci e Castrocaro, adesso da Amici e X Factor.
Noi ci stupiamo ancora, come se questi ragazzi fossero degli illegali, degli abusivi nel nostro mondo, perché nella loro ascesa e nella loro affermazione c'è qualcosa di prepotente. Ma è solo il nuovo che avanza. A me pare assai cresciuto il livello medio, a fronte casomai di un conformismo compositivo. I centri di produzione si somigliano. È un panorama con tantissimi artisti da 6,5 ma punte da 9 un De André, un Paoli, un Pino Daniele - non ne vedo ancora».
Ci sono Big con un solo disco alle spalle e dietro già premono le Nuove Proposte, dalle quali non abbiamo ancora ascoltato né una sillaba né una nota, eppure di loro sappiamo tutto, perché la fabbrica dei giovani è una macchina potente che gioca a tutto campo. Intorno ai fenomeni emergenti della canzone italiana, ce ne sono altri giù dal palco, ragazzi che si sono inventati un lavoro fra le note e accompagnano questa scalata. Le case discografiche hanno affidato la comunicazione a laureati fra i 25 e i 30 anni, molte ragazze. Scienze della comunicazione, lingue straniere, qualcuno viene da lettere. Scrivono tweet e post: curano i social media. Fanno da consiglieri, manager, qualche volta da ghost writer. Lo scontro generazionale è andato avanti a lungo, tutto sommato senza grossi spargimenti di sangue. Ai campioni della classicità, raccontano le cronache dal passato, si opponevano di volta in volta gli avveniristi, i falsettisti, gli urlatori, i beat, gli yé-yé, i capelloni, i cantautori.
Ma ora è un'altra cosa. Questa è un'opa ostile. Fino a metà anni Sessanta i giovani a Sanremo non erano neppure in giuria. Ci arrivarono nel '67: due studenti delle medie, due delle superiori, due universitari, cinque lavoratori. Non vinse uno dei loro. Fu anzi il festival che costò la vita a uno studente di ingegneria elettronica che viveva a Recco con la madre, di nome Luigi e di cognome Tenco. Trionfò Claudio Villa, i ragazzi fuori dall'Ariston alzarono cartelli con lo slogan "Facciamo l'amore, e non la guerra" e gli gridarono "Bidone, bidone". Hanno continuato a perdere, nel 2000 da un Peppe Servillo cinquantenne: quel pezzo colto degli Avion Travel citava l'operetta. Le case discografiche non gradirono: le radio non lo passavano, i cd non si vendevano. Nel 2010 ha vinto il primo sessantenne, Roberto Vecchioni, probabilmente l'ultimo. Lorenzo Fragola, siciliano, 20 anni, al suo secondo Sanremo dopo una vittoria a X Factor nel 2014: «Siamo tanti? Io spero che possanno esserci sempre più storie come la mia». Caccamo-Iurato, per esempio. Ragusani, sotto i trenta, nati solisti, lei ad Amici, e qui un prodotto in vitro. Negli ultimi cinque anni social, app, nuvole e televoti hanno prodotto il mutamento genetico di Sanremo. Un pezzo della tradizione italiana è fra le mani dei ventenni. E allora musica, ragazzi, avete vinto. Solo una cosa: non stonate.
(su Repubblica del 9 febbraio 2016)
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