La prima volta che accade può essere un caso, la seconda una coincidenza, la terza rivela un’attitudine. Ma alla quarta, eh, alla quarta c’è la prova, si scopre la verità: esiste una relazione fra un colpo e il suo autore. Anzi di più: il colpo e il suo autore sono la stessa cosa. Quel gesto è lui. Coincidono. E allora: Mauricio Pinilla uguale rovesciata. Non un copyright, ma certamente un marchio. La cosa è assai curiosa per uno dei tanti deppisti (da Johnny Depp) del calcio, un tipo rock, irriflessivo, eppure incline all’anti-eroismo, al punto da tatuarsi dietro la schiena l’immagine della sua sconfitta più cocente, una traversa colpita al 119’ contro il Brasile ai Mondiali. Pochi centimetri più giù e quella sera a Belo Horizonte sarebbe cambiata la storia del calcio di due Paesi: il Cile sarebbe tornato ai quarti di finale dopo oltre mezzo secolo, e al Brasile non sarebbe più toccato di prenderne sette dalla Germania.
Quando nel meno esotico scenario di Reggio Emilia Mauricio Pinilla si scrocchia le ossa in volo per avvitare il pallone dentro la porta del Sassuolo, avverte subito che l’operazione sta andando in porto, come gli è già successo mesi prima contro Cagliari Torino e Cesena. Un po’ circo e un po’ prodezza da spiaggia. È la famosa quarta volta. Quella della prova. Il più innaturale tra i modi di far gol viene chiamato in Sudamerica “la cilena”, perché il primo a farla diventare un’abitudine fu Ramón Unzaga, che per quella nazionale giocava cent’anni fa. Le origini dell’uomo e la primogenitura della rovesciata vengono però rivendicati dagli spagnoli, e subito dopo a cascata dai baschi, essendo Unzaga nato e cresciuto per una dozzina d’anni a Bilbao. Così, in mezzo a questa disputa filologica, i gol di Pinilla hanno pure la funzione di un esame del dna. Non scherzate più, ispanici, la rovesciata è cilena. Magari un giorno si dirà: alla Pinilla.
Un colpo, un corpo. Il tiro a giro è Del Piero. Il gol stile kung-fu è Ibra. Il cucchiaio è Panenka. Il doppio passo è Biavati. La parata dello scorpione s’è fatta uomo con Higuita; dici Quaresma e pensi alla trivela; il gol dal calcio d’angolo è Palanca. La punizione a foglia morta evoca sempre il volto di Corso, e nella sua versione aggiornata (la maledetta) la barba di Pirlo. Più marginali sono, più certi gesti s’incarnano in modo memorabile. Fontolan Nappi che va in slalom con il pallone sulla testa (la foca), Chimenti che stringe il pallone a tenaglia fra i piedi e lo porta in avanti col tacco saltando il difensore con un pallonetto (la bicicletta), Marangon che fa passare il pallone da un lato dell’avversario e lo supera in velocità correndo dall’altro (la vacca). E adesso Pinilla, che diventa il Signor Rovesciata più di Piola e più di Parola.
Non poteva che succedergli con la maglia dell’Atalanta, squadra da undici gol in acrobazia spalle alla porta negli ultimi quindici anni: da quella disperata di Loria al Chievo, alle due di Doni con Brescia e Messina, alle quattro di Zampagna, forse sgraziate ma pesanti, una nel giorno della promozione 2006 in serie A.
A questo punto, almeno tra di noi, la cilena potremmo perfino azzardarci a chiamarla bergamasca, per fortuna senza altri dilemmi d’attribuzione. Superfluo sarebbe stabilire se bergamasca di sopra o di sotto, trattandosi di una rovesciata.
(la Repubblica, 15 settembre 2015)
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