sabato 19 settembre 2015

Calvino alle Olimpiadi

Il tabellone della finale di basket a Helsinki 1952
Il tabellone della finale di basket a Helsinki 1952
Quando Italo Calvino va alle Olimpiadi di Helsinki, inviato per l'Unità, non ha che ventinove anni appena, anche se ha già pubblicato "Il sentiero dei nidi di ragno" (1947), "Ultimo viene il corvo" (1949) e "Il visconte dimezzato" (1951). Non ha particolare dimestichezza con lo sport, lo confesserà lui stesso. Ne Il giardino incantato, uno dei racconti della sua raccolta uscita tre anni prima, c'è una pagina ispirata dal tennis tavolo,che ancora chiamavamo ping-pong.


Uscirono dall’acqua e proprio lì vicino alla piscina trovarono un tavolino col ping-ping. Giovannino diede subito un colpo di racchetta alla palla: Serenella fu svelta dall’altra parte a rimandargliela. Giocavano così, dando botte leggere perché da dentro alla villa non sentissero. A un tratto un tiro rimbalzò alto e Giovannino per pararlo fece volare la palla via lontano; batté sopra un gong sospeso tra i sostegni d’una pergola, che vibrò cupo e a lungo. I due bambini si rannicchiarono dietro un’aiuola di ranuncoli. Subito arrivarono due servitori in giacca bianca, reggendo grandi vassoi, posarono i vassoi su un tavolo rotondo sotto un ombrellone a righe gialle e arancio e se ne andarono. (Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, Einaudi)

Per il resto Calvino si dichiara profano. "Scrivo", dirà, "perché non ero dotato per il commercio, non ero dotato per lo sport. Scrivo per imparare qualcosa che non so. Non è il desiderio di insegnare ad altri ciò che so o credo di sapere che mi mette voglia di scrivere, ma al contrario la coscienza dolorosa della mia incompetenza".
E' questa coscienza che lo porta in Finlandia nell'estate del 1952. Con l'occhio vergine. Il 19 luglio si lascia stupire dalla cerimonia d'apertura: “L’impermeabile, si capisce, lo portiamo noi comuni mortali, perché la pioggia non riesce ad offuscare la noia dominante e caratteristica di questo clima olimpico, costituito dai colori delle tute di allenamento ancor più vistose delle giacche della divisa da passeggio degli atleti e dei dirigenti delle varie squadre: gli italiani, col loro splendente doppiopetto, coi bottoni d’oro, hanno tutti un’aria da principe azzurro: emergono con loro, in vistosità, i messicani, con le loro giacche rosso-vino, mentre invece gli inglesi portano una giacchetta nera assai modesta”.



Lo scatto di Ralph Crane
Lo scatto di Ralph Crane
Sei giorni dopo, a pagina 3 del giornale, dedicherà un intero articolo all'invasione di campo di una ragazza arrivata a sorpresa sulla pista, episodio che aveva fatto scalpore. Calvino rivela che si tratta di una giovane di Stoccarda, Barbara Rontrau Pleyer, appartenente a una setta religiosa, protestante, decisa a portare un messaggio di pace nel pieno dei Giochi della guerra fredda. Scrive Calvino: “Certo quel quadretto d’una bionda e angelica personificazione della pace, trascinata via per le braccia da signori in cilindro e redingote, s’è mosso davanti ai nostri occhi come balzato fuori da una vignetta satirica. Sarebbe facile insistere sull’allegoria: troppo facile, perché appunto sono questi simboli abusati che non rispondono più alla nostra coscienza. La pace non riusciamo più a personificarla in una mistica fanciulla biancovestita: se vogliamo darle una effige, sia quella di tutta la forte gioventù di ogni razza e nazione riunita ora a Helsinki, col cuore puro e i piedi ben piantati sulla terra”. C'è una foto da Helsinki che passerà alla storia, l'ha scattata Ralph Crane, leggendario fotografo di Life. Atleti americani e sovietici seduti in atteggiamento cordiale, insieme, su una panchina, sotto le betulle. Non l'ha confezionata nessun guru della comunicazione. Non ce n'erano. O forse sì. Era meno consapevole (o forse no) e si chiamava propaganda. Comunque la foto spiazza sia gli Usa sia la Cccp che si stanno guardando con ostilità ormai da cinque anni, dopo aver combattuto la seconda guerra mondiale nella stessa metà del campo e prima di cominciare a sfidarsi nello spazio. Il 30 luglio Calvino ne scrive, consapevole del fatto che sta raccontando i Giochi ai lettori dell'organo del Pci.

“E’ un trionfo dell’America? La stampa americana e quella che ad essa s’ispira fanno di tutto per diffondere quest’idea: levano alte alle stelle le vittorie degli S.U., minimizzano le altre. Ma se dallo Stadio passiamo alle gare ginnastiche, la musica cambia: qui i sovietici (e le sovietiche) fanno strage di medaglie, s’aggiudicano tutti i premi. Dunque, dallo sport coltivato da elementi selezionatissimi, sottoposti a un continuo, rigoroso allenamento, passiamo agli sport di massa, dove i dilettanti sono veri dilettanti, e dove vengono provate l’efficienza e l’estensione delle attrezzature sportive del Paese, la diffusione della pratica sportiva nella gioventù, allora l’America scompare e l’Unione Sovietica ha un vantaggio incontrastato […] Cantate pure con contententezza il vostro inno ogni volta che le stelle e le strisce salgono sul pennone: nessuno può negare che il vostro sia un grande popolo, soprattutto quando i millesangui negri e bianchi che fecondano la vostra terra sono in grado, come qui, di farsi valere sullo stesso piano. Ma, vi prego, riflettete un momento: voi sapete come nascono i vostri campioni, i vostri grandi specialisti, saltatori con l’asta, podisti, discoboli; sapete che sono beniamini dei “colleges” universitari dove essi vengono mantenuti, studenti spesso solo di nome, per dare lustro sportivo all’Università e servire d’attrazione pubblicitaria, e dove non hanno altro da fare che allenarsi, migliorare la propria tecnica e il proprio stile, come raffinati virtuosi, frutti di quel compromesso tra cultura, accademia sportiva, industria, che sono gli istituti d’istruzione americani".

E' uno dei pochi passaggi in cui Calvino cede allo spirito del tempo. Scrive poi un bel ritratto di Paavo Nurmi, ormai ex atleta e camiciaio.
“Dell’aureola mitica attorno al suo nome pare non si curi, quasi il grande corridore delle statue e delle rievocazioni sia un qualcosa d’ormai scisso dalla sua persona, un fantasma immutabilmente giovane che continua la sua corsa mentre lui s’è fermato. Nurmi non si cura più nemmeno del suo sport, non è diventato, come tanti altri ex campioni, un organizzatore, un tecnico o un allenatore: vive al di fuori degli ambienti olimpici, e quando vi ritorna è proprio perché non può rifiutarsi di commemorare se stesso”. Resta affascinato dalle imprese del ceko Zatopek, che vince cinquemila, diecimila e maratona. L'atletica lo cattura. Lo confessa nel suo articolo di congedo, nel quale torna pure sul tema politico. “La fine delle Olimpiadi arriva proprio nel momento in cui ero riuscito, io profano, a entrare appieno nel loro meccanismo, a viverle davvero. Adesso posso confessare che le prime giornate, in mezzo alla gran giostra delle gare più disparate, stentato a raccapezzarmi, specie là nel grande stadio dell’atletica leggera, tra tante competizioni simultanee, tra tanti nomi che mi giungevano nuovi, tra tanti numeri. Alla fine degli otto giorni di atletica leggera,ero già un accanito appassionato. E proprio allora tutto finisce. Così m’è successo per la pallanuoto, il nuoto, il ciclismo. Ma voglio parlare soprattutto dell’atletica, di questo enorme spettacolo in cui ho trovato nuovi personaggi, nuove dimensioni di bellezza e di valore umano. Credo che resterò un appassionato di atletica, ma tante rappresentanze di popoli diversi, tante figure che ‘erano divenute familiari e esaltanti, dove e quando le ritroverò? [...] Finiscono le Olimpiadi e si spezza un’atmosfera che ci teneva tutti uniti. Il mondo della “guerra fredda” ringhiotte uomini che, per quindici giorni, hanno lottato cavallerescamente alla pari, applaudendo l’uno alle vittorie dell’altro, senz’altra misura di grandezza che il valore dei risultati raggiunti. Tra la verde penisola di Otarriemi, residenza degli “orientali” e il bianco villaggio Kapyla, sede degli “occidentali” la distanza era presto superata. Ora la propaganda dei guerrafondai riprende a martellare sui bianchi, sui negri, sui gialli che s’avviano via “occidente”, le loro parole di odio verso i fratelli che prendono la via “d’oriente” e tornano alla loro vita di pacifico lavoro. E’ questa la ragione per cui più ci rincresce che le Olimpiadi di Helsinki siano finite. Ma crediamo anche che esse abbiano gettato un seme che non fruttifichi solo di quattro anni in quattro anni nel cuore dei popoli”. Il seme in Calvino invece produrrà qualche altra pagina in cui lo sport si affaccia. Quasi sempre con un pallone, colto nel momento del gioco, mai per agonismo. Ne La formica argentina, chi ha seguito gli articoli di Helsinki ritrova per un momento anche la proiezione di Barbara, la ragazza dell'invasione, "dietro un cancello, sotto un glicine, delle giovinette biancovestite facevano giocare con un pallone da spiaggia un cieco”. Nel racconto La strada di San Giovanni anni dopo aggiungerà: "Guardo il mare e penso che tra un’ora sarò alla spiaggia. Alla spiaggia le ragazze lanciano palloni con le braccia lisce, si tuffano nel luccichio, gridano, schizzano, su tanti sandolini e pedalò".

Certa Bice, ex cognata di qualcuno, e certa Lydia, ex segretaria di qualche altro, gli chiesero se per favore scattava loro un’istantanea mentre giocavano al pallone tra le onde. Accondiscese, ma siccome intanto aveva elaborato una teoria contro le istantanee, si premurò di comunicarla alle due amiche: - Cosa vi spinge, ragazze, a prelevare dalla mobile continuità della vostra giornata queste fette temporali dello spessore d’un secondo? Lanciandovi il pallone vivete nel presente, ma appena la scansione dei fotogrammi si insinua tra i vostri gesti non è più il piacere del gioco a muovervi ma quello di rivedervi nel futuro, di ritrovarvi tra vent’anni su di un cartoncino ingiallito (sentimentalmente ingiallito, anche se i procedimenti di fissaggio moderni lo preserveranno inalterato). (Gli amori difficili, 1958)

Al suo rientro in Italia, dopo poche settimane dalla fine dei Giochi, scoprirà che Il visconte dimezzato sta spaccando la critica militante di sinistra, il mondo del Pci e i suoi giornali. La stessa Unità pubblicherà un articolo firmato da Carlo Salinari che di fatto stronca il romanzo, definito "stucchevole" e "una divagazione letteraria": "Molti (operai, contadini, intellettuali) forse non leggeranno il Visconte dimezzato. Perché non è scritto per loro".  

Italo Calvino è morto il 19 settembre 1985. Trent'anni fa.

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