giovedì 17 settembre 2015

Date a Florenzi un gol da tre punti


Questo gol è la prova di un'ingiustizia. Sei a sessanta metri dalla porta. Acceleri, alzi la testa, guardi laggiù. A quel punto ti viene un’idea, la cosa più vicina alla follia che si possa immaginare con un pallone accanto al piede. Scarti l’idea di scartarla perché davanti a te c’è il tempo, c’è lo spazio e c’è il modo. Prendi la mira, calci come se fosse un lancio e per il resto devi solo rimanere a guardare come va. Ma quando finisce dentro, ecco, l’ingiustizia è compiuta, perché un gioiello del genere alla fine vale uno, soltanto uno, esattamente quanto un gol di Inzaghi in fuorigioco o uno strafalcione di Comunardo Niccolai. Basterebbe avanzare di un paio di canali con il telecomando per capire quanto tutto questo sia immorale, basterebbe osservare nello stesso istante Danilo Gallinari che fa canestro da poco meno di sette metri e prendersi tre punti anziché due.
Problema: se un campo di basket misura 28 metri di lunghezza e un canestro segnato da sette vale tre punti, calcolare quanto deve valere su un campo di calcio lungo 105 metri un gol segnato da cinquantacinque. Risposta: calcoli inutili. Forse per la loro naturale propensione a premiare il merito, gli americani intuirono per primi che segnare arrivando sotto il canestro o farlo dalla periferia del campo non poteva essere la stessa cosa. Era il 1979 e nella Nba nasceva il tiro da tre. Il basket internazionale accoglieva l’onestà dell’emendamento nel 1984, a 93 anni di distanza dall’idea originale della palla buttata nel cesto di James Naismith, insegnante di educazione fisica allo Springfield College, Massachussets. Dalla nascita della Football Association ne sono invece già trascorsi centocinquantadue e, povero Florenzi, del tiro da tre gol proprio non si parla. L’unica maniera di convivere con questo torto è convincersi allora che nel calcio l’eccezionalità non esista, rassegnarsi, farsene una ragione, e prendere dunque per buona la versione di quel ragazzino, certo non romanista, che oggi fuori scuola minimizzava, dicendo che in fondo è stato un gol a porta vuota. Un gol così non ci sta nemmeno tutto intero dentro una foto. O tagli la porta o tagli Florenzi, che di cose eccezionali ha già riempito la sua vita. Quel gol in rovesciata segnato al Genoa. L’altro famoso al Cagliari di un anno fa, e in allegato la corsa in tribuna ad abbracciare la nonna. Un matrimonio con 200 invitati al Gianicolo, ma soprattutto il fatto di aver sposato una ragazza conosciuta all’Olimpico guardando una partita, Ilenia, studentessa, fuori dal circuito velina-modella-presentatrice tv.

maniVogliamo undici Florenzi, si sente ogni tanto cantare dalla curva, e sarebbe anche gratificante, se non avvenisse in prevalenza durante i giorni bui delle sconfitte, dove gli undici Florenzi evocati coincidono con la retorica del noi amiamo solo la maglia, il sudore, la fatica, il calcio operaio. Averceli davvero, undici Florenzi. Ma undici che escono dalla frotta dei polli d’allevamento, come li chiamerebbero Allegri e Gaber (per primo Gaber), undici che hanno il coraggio sfrontato di provarci. Florenzi è uno che dice: “Non è una sciagura arrivare secondi”. Florenzi è uno che dice: “Abbiamo messo il culo per terra”. Florenzi ti racconta che se non ci fosse stato il calcio avrebbe fatto il barista a Vitinia, che è la più vecchia tra le borgate più giovani di Roma, tra tutte quelle nate cioè nel dopoguerra. Ostia è lì, a una dozzina di chilometri, dove abita nonna Aurora e dove trovarono Pasolini, fra un mese e mezzo saranno quarant’anni

Quanto all’arresto, tutto dipendeva da un vecchio mandato di cattura rimasto appeso dopo un ricorso. Roba che al Freddo era completamente passata di mente: come fosse appartenuto a un’altra vita, a un diverso Freddo. Si trattava dell’estorsione al Tigame, uno sfasciacarrozze di Vitinia, un lumacone che invece di starsene al posto suo s’era impennato di brutto per una miseria di milioni. (Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale)

La tentazione, a Vitinia, è vedere Pasolini ovunque. Nella chiesa del Gesù agonizzante, dentro tutto quel ferro battuto che parla della corona di spine sul Calvario. Nel ricordo della fatica e dei piedi scalzi di Abebe Bikila, che da Vitinia passò al chilometro sedici della sua maratona olimpica, la corsa d’oro di Roma ’60. Nelle facce “tetre, belle, dolci, di una dolcezza animalesca precristiana” uguali a quelle delle comparse del Vangelo secondo Matteo, e volendo uguale a quella di Florenzi, che dopo il gol però se l’è nascosta fra le mani. A Florenzi hanno dato il ruolo che un tempo era del sottoproletariato pallonaro. Terzino. Gli cambiò per primo posto in campo Leonardo Menichini, erano al Crotone: com'era già successo a Grosso con Cosmi, a Zambrotta con Lippi, a Di Chiara con Scala. I terzini. I famosi undici Florenzi. I braccianti del calcio. Menichini avrebbe poi portato la Salernitana in serie B (l’estate scorsa) e si sarebbe trovato senza lavoro (adesso), ma prima, molto prima di vedere in Florenzi la scintilla della bellezza operaia, era stato il vice di Mazzone, e dunque l’allenatore di Totti, Allegri, Materazzi, Baggio e Guardiola. Eppure, a pensarci bene, svegliandosi dopo una notte tanto speciale, proprio questo deve essere il vantaggio di giocare da terzino. Puoi fare un gol indimenticabile da laggiù. E chi se ne frega se vale solo uno.

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