E' passata un po' sotto silenzio nei giorni scorsi la ricorrenza del compleanno numero 80 di Enzo Spaltro, che con questo curriculum per me rimane soprattutto il professore di Test. Per coloro i quali nel 1983 dedicavano il giovedì sera ad altro, bisogna raccontare che Test era un programma Rai condotto da Emilio Fede. La canzone della sigla finale era Lies dei Thompson Twins. Ma non c'entra. Ai concorrenti in studio si ponevano delle domandine, credo si chiamino giochi psicologici, che attribuivano punti, sommati i quali si otteneva alla fine il profilo di una personalità.
Il test lo facevamo anche noi da casa. Fede ci diceva di prendere "carta, penna e calamaio", e nessuno all'epoca sospettava che sarebbe sprofondato in un baratro peggiore. Noi - obbedienti - seguivamo Fede. Il calamaio a casa mia non c'era, carta e penna sì, e in 4 segnavamo le nostre rispostine. Mio padre in genere guardava i western. O Ivanhoe. C'era sempre Ivanhoe su qualche canale. E comunque.
I test li preparava appunto il professor Spaltro. Che aveva un'ossessione. Una, due, dieci volte a puntata - al punto da sembrare una parodia di se stesso - ammoniva: non dovete indovinare quale risposta dà più punti, non dovete indovinare la risposta esatta, non c'è una risposta esatta, dovete dare la risposta che vi descrive meglio. Non è un gioco a premi, insisteva, questo è un test.
Sapeva, Spaltro, che noi il giovedì eravamo abituati a Rischiatutto. Sapeva che a casa si tirava a indovinare. Anche solo per fare bella figura con la nonna.
Hai visto, hai visto, ho preso 80 punti...
Ho fatto più punti io a casa degli ospiti in studio... cheneso... di Angelo Sotgiu (Angelo Sotgiu era il biondino dei Ricchi e Poveri).
Test diventò così popolare che la Clementoni ne fece un gioco da tavolo.
Perché gli 80 anni compiuti da Spaltro avrebbero meritato migliore celebrazione? Ci arrivo. Alcuni amici del quartiere che fanno attività politica nel Pd, sono immersi in questi giorni nel cosiddetto dibattito precongressuale. Dario porta a Franceschini, Giorgio porta a Bersani. Nei giorni drammatici di Eluana, tutt'e due non potevano chiudere bocca di Ignazio Marino, uno che finalmente di qua, finalmente di là, non come questo, non come quello, eccetera eccetera. E allora pensavo che essendo Marino un candidato alla segreteria del partito, avendolo trovato così vicino alla loro sensibilità in una circostanza così profonda, su un tema così importante, stavolta l'avrebbero sostenuto. Avrebbero portato a lui, come si dice a Napoli (con quest'accezione il verbo portare/sostenere regge un complemento oggetto sotto forma di complemento di termine). Invece no.
- Come mai? gli ho chiesto. Per sapere. Non certo per spingerli a sostenere Marino. Giacché più della corsa in sé alla segreteria pd mi appassiona la grammatica generativa del dibattito nel pd.
Risposta: - Perché è una candidatura di bandiera. Frase che ha una variante in candidatura di testimonianza.
Non so con certezza cosa significhi. Mi sembra però ancora una volta lo specchio di quanto abbiamo rinunciato a considerare il nostro voto personale (per il parlamento, nella vita di un partito, per il condominio) come una delega. Provo a dirlo in altro modo: mi pare lo specchio di come abbiamo rinunciato all'idea di votare per chi al momento di decidere (in parlamento, nella vita di un partito, al condominio) deciderebbe come noi. Esattamente come se al suo posto ci fossi io. Si chiamava rappresentanza, viene spacciata come roba per sognatori.
Anche quelli a cui piaceva Ignazio Marino quando difendeva la drammatica scelta di Peppino Englaro, quelli che criticavano l'incapacità del Pd di avere una posizione, sembrano impegnati a indovinare qual è la risposta che dà più punti, con la paura di votare Marino e scoprire che la risposta esatta era Franceschini o Bersani, dimenticando la lezione del professor Spaltro. Che non esiste una risposta esatta, ma solo quella che ci descrive meglio. Colpa di Mike Bongiorno. Il giovedì eravamo abituati a Rischiatutto.
1 commento:
good start
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