sabato 18 luglio 2009

Il tedesco

Il Tedesco aveva un figlio che suonava il violoncello
Sol-fa-la sol-fa-la-si-do, il maestro correggeva. Il Tedesco sfruculiava, murmuliava, canticchiava: una lacrima sul viso, come stai baglioneggiava. Una sola cosa chiese, non al figlio ma al maestro: Quando muoio me lo giuri, nella chiesa me la suoni: di negrini-facchinetti, mi dispiace devo andare. Me lo giuri, me la suoni. Il maestro gli sorrise. Sollevò le sopracciglia: ne parliamo un altro giorno. Ma quel giorno era vicino.
Arrivò prima una notte. Il Tedesco non dormì e neppure il suo bambino, a vegliare su un impasto spesso quanto una nocciola. E' quel cocktail che hai preso, ma tra poco starai meglio. Il Tedesco vomitava, non mangiò, non volle bere. Chiese solo di fumare, perché aveva un grande impegno: una stanza da spostare. La nocciola gli premeva, lui spingeva una parete. Stiamo insieme questa notte, disse al bimbo che cresceva. Il bambino lo abbracciò: ora spingo un poco io. Il Tedesco gli sorrise, le bugie le conosceva: non andare resta qui, una notte ancora insieme.

Gli occhi andarono nel vuoto, il Tedesco li raggiunse. Era sera, era de luglio. Un amico del Pirata vinse in Francia, ed era un russo. Il Pirata lui lo amava, come amava Zola e Thoeni, come Fausto e Aivanò, come i cani ed i caubbòy, come el Macho y el Cabezòn. Era luglio, era il diciotto. Il maestro seppe tutto. Corse in chiesa il giorno dopo, ed aveva il violoncello. Si scusò con il bambino: glielo devo, lo voleva. Camuffò un poco le note ma davvero la suonò: mi dispiace devo andare, e il Tedesco se ne andò.

*** ***
Sempre sera sempre luglio, sempre il solito diciotto. C'era un poster sopra un muro, il bambino alzò lo sguardo: Cazzo, questi li conosco, sono quelli delle note che il maestro camuffò: mi dispiace devo andare, e quei quattro stanno qua.
C'era scritto sopra al poster: una notte ancora insieme. Mischiò lacrime e risate, e non era più un bambino, era molto più piccino, forse un uomo non sarò.
Chiuse gli occhi e li rivide. Vide Zola, vide Fausto, le pareti da spostare, vide càubboy alla nocciola, vide i cani e vide il cocktail, vide il russo che vinceva. E sentiva il violoncello: mi dispiace devo andare. Lo sapevo che eri tu. Lo sapevo che tornavi.
Aprì gli occhi. Guardò il muro.
Una notte ancora insieme. Una notte ancora qua.

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