Franco Baresi e il rigore sbagliato nella finale mondiale '94 a Pasadena |
CADONO E SI ABBRACCIANO, perdonateli, perché non sanno quello che fanno. L’arbitro fischia un fallo in area e loro esultano prima ancora di andare a tirare. Cosa volete che sia, pensano, un rigore. Perdonateli, benedetti ragazzi, perché invece un rigore è una faccenda complessa. È l’unico gesto del calcio in cui non c’entra solo il calcio. È il gesto sportivo più studiato. Dentro il tragitto da undici metri di un pallone verso la porta, dentro un mistero cominciato mentre finiva l’Ottocento, si sono immersi con le rispettive competenze economisti, fisici, informatici, psicologi, fisiologi, militari, scrittori, semiologi, antropologi, etnologi, registi.
Alla ricerca di una formula perfetta sono state analizzate prestazioni sotto stress dei chirurghi, dinamiche aziendali, film western. Sono stati interrogati centinaia di calciatori per sapere cosa passi nella loro testa fino a un attimo prima di quell’attimo. Sono state viste e riviste migliaia di conclusioni per giungere a una. Ci sono strategie, meccanismi di compensazione e contromisure per ogni debolezza. È fiorita una vera e propria industria del calcio di rigore. Sono nate società che vendono database in cui custodiscono — meglio della Coca-Cola il suo ingrediente segreto — indicazioni e dettagli sulla lunghezza di una rincorsa, l’angolo corretto da tenere, velocità, comportamento dello sguardo, precedenti. Sono stati messi a punto sofisticati metodi di concentrazione. Eppur si sbaglia.
dal film "Per un pugno di dollari" |
Un fallimento è per sempre. Il tedesco Hoeness non è mai più stato convocato in Nazionale dopo un errore agli Europei. Il francese Six sbagliò in semifinale ai Mondiali e trovò difficoltà a ottenere il patentino da allenatore: si prese a dire che fosse instabile. Il serbo Djukic rimase seduto sulla panca nello spogliatoio sotto shock: i compagni telefonarono alla moglie perché andasse a riprenderselo. Il ghanese Asamoah sbagliò ai Mondiali 2010, promise a sua madre che non ci avrebbe riprovato, ci ricascò e due anni dopo in semifinale di Coppa d’Africa commise di nuovo il peccato. Dovette lasciare il calcio per le minacce. Kuntz, Germania pure lui, andò a tirare pensando ai suoi figli, a come sarebbero stati presi in giro a scuola se lui avesse sbagliato.
Lo spettro dei rigori, dicono. Oppure la chiamano lotteria, ma non lo è. «Non esiste un rigore senza passato», questa è la verità di Lyttleton e della sua indagine. Chi tira si porta dietro la storia sua personale e quella del Paese, altrimenti perché gli inglesi segnano nell’82 per cento dei casi con i club ma solo nel 66 in Nazionale? Nessun ricordo si distrugge. C’è perfino il sospetto che il greco Gekas abbia sbagliato agli ultimi Mondiali per via di uno spot girato pochi mesi prima, nel quale un giovane tifoso gliene parava uno.
In termini shakespeariani, sostiene il professor Smyth da Oxford, i rigori hanno la stessa funzione di Rosalinda nel finale di Come vi piace: abbattono la quarta parete del teatro e parlano direttamente al pubblico. «È un’aggiunta alla trama principale», eppure noi finiremo per ricordare solo quelli. In genere guardiamo all’errore che fa perdere «perché perdere è più romantico che vincere». Guardiamo meno le mosse ingegnose, ma sono quelle che danno scacco matto psicologico. Geniale fu il cucchiaio inventato da Panenka agli Europei del ’76. Lo subisci e ti abbatti.
"Mi sentivo un intrattenitore e consideravo quel rigore come un riflesso della mia personalità.
Volevo far vedere ai tifosi qualcosa che li avrebbe fatti discutere a lungo. Volevo tirare fuori dal cilindro qualcosa di speciale,
qualcosa che fosse più di un calcio a un pallone.
Ho preso tutta quella rincorsa per capire come avrebbe reagito il portiere.
E ho accelerato per rendergli più difficile leggere il mio linguaggio del corpo".
(Antonin Panenka)
Geniale è stata la mossa olandese agli ultimi Mondiali di far entrare un portiere di riserva solo per i rigori: Krul non aveva alcuna specializzazione ma gli avversari lo credettero e persero. Quello è il momento in cui regna il terrore. Chi sa come governarlo, resta in piedi. Compagni che non guardano, allenatori che si voltano, un giorno Zidane vomitò prima di tirare. Tanti si nascondono anziché calciare: Falcão in Roma-Liverpool, Baggio in Fiorentina-Juve, tutti i tedeschi nella finale mondiale del ’74 con l’Olanda. Calciò Breitner e non lo ricorda. Quando si rivide in tv, sudò per la paura sul divano. Shad Forsythe, preparatore atletico, dice che il 90 per cento è psicologia. Strategie emotive.
"La distanza fra il cerchio di centrocampo e il dischetto si misura in chilometri.
E' infinita. Decisi che non avrei guardato in faccia Schumacher, gli diedi le spalle. E aspettavo. Aspettavo.
Il problema è che bisogna mantenere la concentrazione, perché non ci sia neanche un granello di sabbia a turbarla.
Pensai ai suoi occhi. In quegli occhi c'era qualcosa di simile alla dinamite, e io non volevo scorgerlo"
(Alain Giresse)
È sbagliato credere che le strategie emotive non si allenino, è sbagliato pure credere che basti allenarsi. Prima di pensare al calcio giusto, bisogna costruire il contesto esatto. Perciò la prossima volta che andremo ai rigori sarà bene fare quel che dicono gli esperti: prendersi un secondo in più per posare il pallone sul dischetto, non voltare le spalle al portiere, non far passare più di quattro secondi per partire con la rincorsa, non cambiare idea, meglio mirare verso il basso, esultare con le braccia sopra le spalle per demoralizzare gli avversari. C’è solo un problema. Queste cose le sanno anche i portieri.
(da la Repubblica, 8 novembre 2015)
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