giovedì 12 novembre 2015

Il Belgio marpione e smandrippato

Vincenzo Scifo
 Vincenzo Scifo
Prima che il Belgio fosse nominato dalla Fifa nazione guida del calcio mondiale, senza aver vinto ancora né un Mondiale né un Europeo (su Repubblica in edicola stamattina c'è una bella analisi di Francesco Saverio Intorcia sulla rivoluzione tecnica e organizzativa che l'ha portato in cima) - prima di tutto questo, il Belgio era per noi italiani essenzialmente una gran rogna. Sia con la sua nazionale sia con i suoi club.

L'Anderlecht fece fuori il Napoli dalla semifinale di Coppa delle Coppe '77
 e la Juventus in Coppa dei Campioni nell'anno che avrebbe portato l'Italia di Bearzot al titolo mondiale in Spagna. Era quello un Anderlecht capace di vincere quattro titoli europei, ma un po' tutto il movimento belga ci mandava in sofferenza. Bastava pescare al sorteggio una delle loro squadre per cominciare a sentirsi instabili. La Juve uscì in Coppa Campioni col Bruges nel '78l'Inter col Beveren ai quarti di Coppa Coppe nel '79, il Milan andò fuori con il Waregem negli ottavi di Uefa '86, l'Atalanta si arrese al Malines in semifinale di Coppa Coppe '88. Abbiamo invertito la tendenza solo a partire dai gioiosi anni '90, quando in effetti il Belgio cominciò a infilarsi in un tunnel senza luci.

Si diceva che l'Italia soffrisse "la tattica del fuorigioco", ambito in cui i belgi parevano maestri. Mica solo in quello. Li abbiamo incrociati una volta ai Mondiali (1954) e tre volte agli Europei. Nel 1980 all'Olimpico di Roma lo 0-0 nella terza e ultima partita del girone fu una sconfitta. Senza Giordano e Paolo Rossi, freschi di squalifica per lo scandalo del calcio-scommesse, quel risultato diede al Belgio il posto in finale che gli azzurri credevano di poter ottenere. Intorno a Van Moer, regista raffinato, i belgi costruirono una partita che oggi diremmo controllata con il possesso palla, e che all'epoca fu sbrigata dai giornali italiani come insopportabile melina. Divennero una delle ossessioni del calcio italiano. Gianni Brera sosteneva che lo sciagurato girone di Vigo al Mundial di Spagna era stato in realtà una fortuna: se nella seconda fase fossimo finiti nel gruppo con Belgio e Urss, anziché con Brasile e Argentina, ce la saremmo vista brutta giacché "da che calcio è calcio, i belgi sono per noi avversari difficilmente riducibili a miti consigli". In avvio di Mundial '82 la sua visione del calcio aveva spinto Brera a considerare il Belgio una squadra quasi gemella dell'Italia, disposta come "santo difensivismo comanda" e vincitrice per questo sacro motivo della presuntuosa Argentina di Menotti e Maradona. Due anni ancora, agli Europei '84, si sarebbe invaghito di "un siciliano naturalizzato belga". Era Vincenzo Scifo. Scrisse Brera: "E' un normotipo vicino al longilineo, non alto di statura: corre armoniosamente, levando le ginocchia come un lipizzano: tratta la palla con sapienza inconfondibile. Vado a vederlo domani, ma fin da ora credo di poter dire che Scifo sia stilisticamente a mezzo tra Maradona e Rivera: del primo non ha forse il genio goleadoristico, del secondo non ha la potenza del lancio: in compenso, è bravo anche a riconquistare la palla, che è dote fondamentale di un centrocampista". I belgi gli parvero "generosi e grintosi fino alla cattiveria", e via via nel tempo durante quegli anni '80 di nostra sofferenza li definì una volta "marpioni" e un'altra "smandrippati", ma poi "squadra monotona" in Messico nel 1986, nonostante la semifinale.
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Nel momento più alto del Belgio, Brera aveva in effetti intuito la sua decadenza. Dagli anni '60 fino al 1990 il Belgio aveva piazzato almeno un giocatore a decennio fra i primi dieci della classifica del Pallone d'oro. Dal 1994 hanno invece dovuto aspettare vent'anni prima di mettere Hazard al ventiduesimo posto nel 2013.

I 10 belgi più forti che io ricordi prima dei contemporanei 
10) Van der Elst - centrocampista, 4 Mondiali giocati, inserito da Pelé fra i 125 migliori di sempre.
9) Vandenbergh - suo il gol della vittoria shock nella prima partita ai Mondiali '82 contro l'Argentina campione del mondo. 
8) Vercauteren - uno dei simboli del grande Anderlecht anni '70, spesso calciava gli angoli direttamente in porta, specializzato in cross che diventavano tiri in modo imprevisto (così segnò al Paraguay a Messico '86)
7) Preud'Homme - penultimo frutto della scuola dei portieri cominciata con Piot e oggi rappresentata da Courtois.
6) Gerets - uno dei migliori difensori al mondo negli anni '80, lo prese il Milan.
5) Ceulemans - il miglior atipico del Paese per un decennio, rifiutò le offerte dall'estero per non allontanarsi da sua madre.
4) Van Moer - regista di quelli d'una volta, ritmi bassi, gli davi il pallone fra i piedi e non lo maltrattava mai.
3) Pfaff - un portiere spettacolare come pochi altri, pazzesco, un leader gioioso.
2) Scifo - quattro volte fra i primi venti al Pallone d'oro, un anno all'Inter, due al Torino (con una Coppa Italia), elegante, piede educatissimo, un amore.
1) Van Himst - giocatore correttissimo, due volte fra i primi cinque del Pallone d'oro anni Sessanta, in realtà mi è capitato di vederlo più in Fuga per la vittoria che in altre partite, ma insomma è stato il numero uno senza dubbio. 
[Non ho fatto in tempo a vedere Goyvaerts che negli anni '60 giocò sia per Real sia per Barcellona; né Jef Jurion, attaccante, quinto al Pallone d'oro vinto da Masopust nel '62]

Ma c'è un belga che prima di questi va ricordato come grande innovatore. Si chiamava Henrik Coppens, attaccante anni Cinquanta, morto a inizio 2015. Coppens è stato il primo a calciare un rigore passandolo a un compagno, anziché cercare direttamente la porta. Un gesto che divenne famoso per averlo successivamente eseguito una volta Cruyff. In realtà il copyright è del belga che lo mostrò in una partita contro l'Islanda nel 1957.


 Non giochiamo contro il Belgio da otto anni, non ci perdiamo da sedici. Vediamo come se la cavano da numeri uno al mondo i vecchi marpioni smandrippati.

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