martedì 17 novembre 2015

Pirlo e il più maldestro dei tiri

andreapirlo

Se spiazza l'Italia senza Pirlo, se vi hanno spiazzato le parole di Conte della settimana scorsa ("Dovrò fare le mie valutazioni e considerare che lui possa non far più parte della nazionale"), allora bisogna cominciare a considerare che cosa è stato, di Pirlo e di noi. C'è un libro appena uscito che può aiutarci. L'ha scritto Marco Ciriello, del quale s'era già parlato qui a maggio 2014 per un bel romanzo costruito intorno alla figura di un allenatore.
In Per favore non dite niente aveva raccontato un calcio privo di innocenti, ora in questo saggio - Il più maldestro dei tiri (edizioni Ad Est dell'Equatore) - Ciriello squaderna un mondo in cui "lo show non vale il biglietto", in un Paese coerente con il quadro proposto dal suo sport nazionale, e nel quale al massimo si può immaginare un futuro allucinato con Massimo Cacciari ct della nazionale e Mino Raiola segretario della Cgil. La punizione "a foglia morta" di Corso, per mezzo della quale nel 1995 Berselli aveva raccontato un'altra Italia, adesso è "una maledetta" con cui rappresentare il tempo di Berlusconi e gli ultimi vent'anni di politica. Pirlo è "tutto quello che rimane al calcio senza l'atletica, un bandolero stanco, un messicano indolente che passeggiando e accelerando improvvisamente porta quello che nella politica non c'è più: lo stupore"; è un calciatore che "ritrova l'ordine e spesso lo gestisce meglio di un questore" in questi tempi - scrive Ciriello - di enciclopedismo e di suggestioni, di carriere precoci e mai in salita. È Pirlo l'autore dell'unico gesto del nostro Mondiale brasiliano destinato a essere consegnato a chi verrà dopo di noi: la finta che porta al gol di Marchisio contro l'Inghilterra; perché i Mondiali "servono a un mucchio di cose, ci fanno vedere che governo avevamo in quello precedente e se ci siam mossi politicamente ed economicamente, il resto è fame e speranza". Gli Europei non sono neppure quello, figurarsi poi se Pirlo non ci andasse. E se Pirlo non ci va, questo lo dico io, allora qualcosa non torna. Perché Conte, al quale servirebbero giocatori straordinari nello stesso istante in cui sostiene - credendoci - di aver bisogno soprattutto di "uomini straordinari" - in un solo colpo senza Pirlo accetta di fare a meno della rarità degli uni e degli altri presenti in questo caso in un corpo solo. Senza Pirlo, ci dice Il più maldestro dei tiri, all'Italia resta "una zona mista di stereotipi". Senza Pirlo il calcio si consegna ai corridori: "La differenza che passa tra Pirlo e i Bale è uguale a quella che separa la linea curva da quella retta, la prima ha bisogno di tempo, è nella sua natura perdere tempo, la seconda, invece, corre dritta al risultato". Questo libro, ci avverte nel finale Ciriello, è stato scritto per impedire che Pirlo finisca come l'arca perduta del film, mentre i prossimi Indiana Jones forse si chiamano Morosini, Bernardeschi e Insigne.

maldestrola recensione al libro uscita su Repubblica domenica 8 novembre Dentro un lancio di Pirlo per Baggio, visto in un Juve-Brescia del 2001, ci sono i corpi e gli anticorpi di vent'anni di politica italiana, gli ultimi venti, oppure c'è una scia lunga mezzo secolo, che va da Aldo Moro a Silvio Berlusconi, e su un campo di calcio parte dal piede sinistro di Mariolino Corso. Due punti d'origine - Moro e Corso - non casuali, perché Il più maldestro dei tiri è un saggio - a volergli cercare un genere - scritto nella stessa chiave usata da Edmondo Berselli nel 1995 per Il più mancino dei tiri. E' il suo controcanto.  Marco Ciriello è un dissacratore per natura. Visionario, ironico, sfacciato: gioca a fare il monello con le élite e con il mondo delle lettere italiane. Senza moralismo, come in un laboratorio scientifico, procedendo per ipotesi, con le traiettorie di un pallone racconta l'ascesa e il declino di due destri, due portatori di stupore, "ora che entrambi hanno il meglio alle spalle, e che il senso di onnipotenza è declinabile solo al passato". Una vertigine di connessioni durante le quali l'Italia è passata da Scirea a Chiellini, da Martellini a Caressa. La Lega, novità del ventennio, "apparsa in A come il Chievo, promettendo di diventare la Juventus, si è rivelata una Spal", scegliendo giocatori via via meno dotati. E Prodi, poi: "Quando un uomo col pallone incontra un uomo con la bicicletta, quello col pallone perde le elezioni", giacché "il ciclismo è sempre misura delle cose, agendo in un paesaggio che cambia". Pirlo allora è un bandolero stanco, la linea curva che ha bisogno di tempo. Berlusconi invece è stato zemaniano "per la capacità di rifare sempre lo stesso errore" e il passaggio da lui a Renzi è come la trasformazione dei flipper: più piani, più palline, "una marea di contatti e luci" che alla fine si smette di giocarci. Un omaggio dichiarato a Berselli ("ho cercato di divertirmi come faceva lui") nel metodo e nello stile: chissà se è una metafora occulta il fatto che quel gol di Baggio, lanciato da Pirlo, venne contestato. Sembrava fuorigioco.

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