lunedì 16 novembre 2015

Sorella Ungheria

Il portiere ungherese Gábor Király

L’avrete forse scorto in tv Gábor Király, quel signore stempiato che sta in porta all’Ungheria, vestito con i pantaloni di una tuta grigia. Ad aprile compirà 40 anni ed è l’unico giocatore della squadra ad aver visto la sua Nazionale in campo a un Mondiale (Messico ’86). Gli ultimi Europei no, nessuno dei ragazzi di Budapest li ricorda, nessuno era ancora nato nel ’72. Ma adesso ci andranno loro, il viaggio nel vuoto è finito, la prossima estate l’Ungheria torna a un grande torneo.
subbung  Lungo il cammino della storia, il calcio è inciampato in due grossi rimpianti: le finali mondiali perse dall’Olanda e quella gettata nel ’54 dall’Ungheria. La Grande Ungheria. La squadra più moderna della sua epoca. La sua diversità consisteva nell'aver modificato il Sistema (WM) con uno stratagemma nato per caso. Avendo perduto il centrattacco di sfondamento, Deak, il ct Sebes innestò nella tradizione una variante tratta dal Metodo. Il centravanti arretrato. Prese un’ala (Hidegkuti) e ne fece l’antenato di quello che avremmo poi chiamato il falso nueve. Le due mezze ali (Kocsis e Puskás ) diventavano le vere punte negli spazi che si creavano. Non ci capì niente nessuno, eccetto i tedeschi in quella finale, probabilmente – si tramanda - con l’aiuto della chimica. Due anni dopo i carri armati sovietici sarebbero entrati a Budapest, fecero quasi tremila morti e spinsero fuori dal Paese alcuni grandi di quella generazione.

"Gli inquieti magiari sono dei napoletani biondi" (Gianni Brera)

Lì finisce la Grande Ungheria, ma non l’Ungheria. Arrivano ancora tre finali olimpiche di cui due vinte. Arriva un Pallone d’oro per Florian Albert (nel ’67) nella scia della Coppa delle fiere vinta dal Ferencvaros due anni prima. Arrivano due finali di Coppa delle Coppe (con il Mtk Budapest nel ’64 e il Ferencvaros nel ’75) e una di Coppa Uefa (il Videoton nel 1985). Poi basta. È l’impatto con il capitalismo a sbriciolare il calcio d’Ungheria. Quando cade il muro di Berlino, i finanziamenti statali si fermano. A Occidente, nel giro di sei-sette anni, si assiste invece a una concentrazione di sforzi inedita. Berlusconi stressa il mercato in Italia, Tapie in Francia; nascita e sviluppo della Premier riporteranno le inglesi al vertice dopo il bando post-Heysel. La Spagna più in là diventerà addirittura un paradiso fiscale del pallone grazie alla legge Beckham. A inizio anni '90 l'Europa si spacca: da una parte fiumi di denaro, dall'altra un capitalismo immaturo, più dovuto che convinto, e certamente esile. La sola squadra dell’Est che da quel momento saprà intrufolarsi nell’albo d’oro della Coppa Campioni è la Stella Rossa nel ’91. Non per reddito ma per la tanta qualità fiorita miracolosamente insieme: Savicevic, Prosinecki, Mihajlovic, Pancev. L’Ungheria è incapace di tenere il passo non solo delle élite ma anche delle seconde file, spesso delle terze. I club falliscono. Gli stadi sono vecchi. I calciatori smettono di andare all’estero: passeranno diciassette anni in serie A tra un gol di Detari e uno di Koman.

Tamás Kásás, stella dell'Ungheria di pallanuoto
Nei trent’anni di vuoto del calcio, il resto d'Ungheria non si ferma. Non è sterile l'intera pianta dello sport, solo il suo ramo d'azienda più costoso. La Nazionale di pallanuoto vince con gli uomini due volte i Mondiali (2003 e 2013) e tre Olimpiadi (2000, 2004, 2008), con le donne due Mondiali  (1994 e 2005). Le ragazze della pallamano giocano la finale mondiale nel 1995 e nel 2003, oltre a prendere l’argento olimpico nel 2000. La canoa resta a livelli altissimi. Nelle sette edizioni delle Olimpiadi dal 1988 a oggi l’Ungheria mette insieme 136 medaglie, 56 sono d’oro, finendo tre volte fra i primi dieci Paesi del medagliere. Le stelle internazionali sono Tamàs Darnyi, Krisztina Egerszegi e Ágnes Kovács nel nuoto, Katalin Kovács nella canoa, Krisztiàn Berki nella ginnastica. Nel calcio la Champions sta allargando le sue frontiere. Crescono le squadre bielorusse, si affaccia Cipro. Ai Mondiali vanno Slovacchia, Bosnia, Slovenia. Budapest accumula solo altra frustrazione. Fino a ieri.

"Quando un ungherese vedeva uno slavo o un rumeno, per prima cosa gli tirava un calcio nel didietro, poi - se lo riteneva necessario - trattava" (Gianni Brera)

Siccome non tutto succede in un giorno, questo traguardo va spiegato. La chiave è l'immissione di denaro fresco nel calcio. Così ha voluto il nazionalismo spinto di Orbàn, primo ministro da cinque anni, pazzo di pallone al punto da favorire l'approvazione di leggi che detassano gli investimenti nello sport. In Ungheria hanno così ripreso a costruire stadi e centri sportivi. C'è un piano per rifarli tutti in serie A e in serie B. Quello del Ferencvaros, la Groupama Arena, 24 mila spettatori, è stato tirato su nella stessa area dell'impianto precedente, nel frattempo demolito: sarà una coincidenza ma la squadra è prima in classifica dopo 14 giornate con 15 punti di vantaggio. È lo stesso stadio in cui la Nazionale ha battuto 2-1 la Norvegia. La rivista online Nogometni, specializzata nel raccontare il calcio dell'est Europa, ha pubblicato delle belle foto sulla demolizione dello stadio del Mtk Budapest, celebre anche per aver ospitato le riprese di "Fuga per la vittoria". La pioggia di soldi nuovi ha baciato pure Felcsút, 4mila abitanti e uno stadio da circa 20mila posti (refuso: 2mila, non 20mila). È la città cara a Orbàn, criticato per la Pancho Arena, 17 milioni di euro e un indotto di lusso per l'intera comunità: con polemiche, accuse, zone d'ombra. Orbàn vuole i Giochi a Budapest nel 2024, mentre stanno nascendo accademie federali che organizzano corsi di lingue straniere per mandare i giovani ungheresi a giocare a calcio in giro per il mondo. Si è rimesso in moto un ingranaggio che era imbrigliato nella ruggine. Il primo segnale di risveglio è stata la semifinale della Nazionale Under 20 ai Mondiali del 2009. Una nuova generazione scrive il presente. Ma nel momento in cui l'Ungheria rimette piede a un Europeo, la tuta grigia del quarantenne Gábor Király sembra quasi un omaggio a quel che è stato, a quel calcio vintage in cui i magiari erano signori del mondo.

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