Lo chiamavano conte Max da calciatore, per quell'aria che aveva in campo da "sono bravo, ma ho altro per la testa". Lieve e distaccato, ironico pure, altrimenti come avrebbe fatto un livornese a giocare nel Pisa? È rimasto leggero come un'acciuga pure adesso che guida il Cagliari a ridosso dell'Europa e con la panchina d'oro di miglior allenatore di A soffiata a Mourinho. «Fa effetto, certo: sono in A da due anni. Due anni a maggio, se Cellino non mi caccia prima», sorride Massimiliano Allegri. Del resto sorride sempre. Fa effetto pure a Mourinho, la storia della panchina d'oro non l'ha mandata giù. E oggi Inter-Cagliari, il calcio senza stress di Allegri sotto il naso dell'uomo a cui piace il rumore dei nemici. «Se l'è presa? Lui? Via, no, scadrebbe nel banale. Un uomo così intelligente».
Allegri, lei un giorno disse che Mourinho non le stava né simpatico né antipatico.
«Infatti è così. Mi è indifferente. Quando parla in tv, fortunatamente non lo ascolto».
Velenosetto.
«Ma no. È stato sveglio a capire come funziona. Cerca sempre di fare notizia. All'inizio è divertente, alla fine mi dà noia».
Si sente distante da quel mondo lì?
«Anni luce. D'altra parte a lui comprano campioni, io debbo salvarmi».
Come sarebbe: salvarsi? Il Cagliari non corre per l'Europa?
«Ci servono 40 punti, dopo ci possiamo divertire».
Ferrara è saltato, Leonardo è nervoso. Tra i quarantenni lei è il solo a divertirsi.
«Il punto è che un allenatore non gestisce mai tutto. Ce n'è uno che ci riesce, ed è Capello. Per fortuna ho Cellino».
Sorriso e autorevolezza. Come si fa?
«Io so allenare soltanto così. È il mio carattere. Sdrammatizzo. Dà serenità alla squadra. Oh, non vuol dire che non mi incazzo».
Per esempio?
«Se manca attenzione in allenamento. Dopo c'è sempre tempo per una battuta. Chiedo un'ora e mezza. È tanto?».
Si offende se qualcuno le dice che da calciatore lei non era un modello d' attenzione?
«Non mi offendo e non ci si sbagliava. Era giusto vedermi come un mezzo scapestrato. Ma i giudizi dall'esterno sono facili. Io mettevo gli interessi del gruppo davanti ai miei».
Cosa le è mancato per giocare in una grande squadra?
«Ah, ancora lo so. Pareva mi volessero tutti. La Juve, l' Inter, il Milan. Nel mio anno migliore finii al Cagliari».
Fu quello il treno perso?
«Alla fine è stato il treno giusto. Se fossi finito altrove, oggi forse non allenerei qua».
E cosa le manca per allenare una grande squadra?
«Eh, eh. Mi manca tanto pure per una di media classifica».
La voglia di panchina quando è arrivata?
«A 31 anni ero tornato al Pescara. Da mezz'ala non ce la facevo più e arretrai regista davanti alla difesa. Pensai: ecco, dopo c'è solo l'allenatore».
Come si aggiorna?
«Vedo molto calcio in tv. Mi faccio anche spedire dei dvd».
E quando stacca?
«Mi rilassa sciare. E mi piace giocare a basket».
Alcuni suoi colleghi dal basket traggono ispirazione. Lei?
«Se vogliamo fare i fenomeni, lo dico anch'io. Non ci metto nulla. I "movimenti" in difesa, la zona, dico quella roba là. Solo che il calcio si gioca coi piedi su un campo di 60 metri per 100, il basket con le mani su un campo di 15 per 30. È uguale? Tanti fanno passare il calcio per una scienza esatta».
Non lo è?
«I moduli mi fanno venire il mal di pancia. E il taglio, e la sovrapposizione, e il terzino di qua, e la punta di là. Sì, buonanotte. Ai miei gli do giusto dei concetti. Per fortuna sono bravi. E corrono».
Otto gol segnati dal Cagliari negli ultimi 10' . Hanno fruttato 8 punti. Nulla di scientifico dunque?
«Ormai nell'ultimo quarto d'ora le partite si rovesciano spesso. Non c'è più il passaggio all'indietro al portiere, prima buttavi la palla fuori, ora si recupera tutto: calano i ritmi, c'è più fatica, arriva l'errore».
Tra l'amore per Prévert, Proust, il vino e le donne, cosa le ha trasmesso di più il suo maestro Galeone?
«Mi ha insegnato tanto, si sa. Più di tutti. Non solo tattica. Ricordo con affetto pure il povero Rossano Giampaglia».
A San Siro va per attaccare come l'anno scorso?
«Chiudersi in difesa sarebbe la morte, perché loro un gol lo fanno di sicuro. L'unica possibilità è provare a fargliene due».
Quanto è diverso il suo calcio da quello di Mourinho?
«Non lo so. Cioè: non è che non lo so. È che in un anno e mezzo Mourinho non ha mai risposto a una domanda tecnica».
Sa cosa si dice in giro? Prandelli va in nazionale e Allegri va alla Fiorentina.
«Uno: non ci penso. Col Cagliari ho ancora un anno e mezzo di contratto».
Due?
«Due non c' è».
(la Repubblica, 7 febbraio 2010)
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