martedì 28 giugno 2016

Non è il Portogallo di Ronaldo

Il Portogallo celebra il ventennale della sua presenza nel calcio d'élite andando per la sesta volta di fila nei quarti di finale agli Europei. È un cammino unico. È un passo che non appartiene alla Germania né alla Spagna e neppure alla Francia. Eppure questa nazionale si circonda sempre di un senso di incompiuto, come ieri sera, quando ha battuto la Croazia ma non la noia. Avere in squadra Cristiano Ronaldo ed esigere una partita prudente è un paradosso che il ct Santos non ha temuto di vivere. Qualificato come penultimo dei ripescati, ha preferito il profilo basso e ha scelto l'umiltà, mettendo in cima ai pensieri il proposito di fermare Modric, la fonte dei croati. Una partita che per un'ora e cinquantacinque minuti ha avuto il suo fascino nella speranza che qualcosa all'improvviso accadesse, perfino che potesse farla accadere Quaresma. E negli ultimi cinque minuti di elettricità, dopo un palo di Perisic, proprio Ricardo Quaresma l'ha decisa, il triste re della trivela ai tempi dell'Inter, improvvisato supplente d'attacco nella sola occasione in cui Ronaldo si sia degnato di farsi vedere. Un po' di vento in mezzo alla bafagna l'aveva portato Renato Sanches, che ha tolto a Ronaldo il primato di portoghese più precoce a una grande manifestazione. Lui è arrivato all'Europao a 18 anni e 10 mesi, Cristiano perse quello in casa a 19 anni e 4 mesi. Ha i capelli come Gullit, il busto grosso alla Karembeu, il passo e il bacino di Seedorf. Il resto è roba sua. Comprese le pause dell'acerbità. Una la azzecca, una la accenna. Ma è il regalino di matrimonio da 35 milioni di euro che il Bayern ha fatto a Carlo Ancelotti.

Quello che la storia ha tolto, la storia restituisce. Due volte il Portogallo aveva giocato i supplementari nella storia degli Europei e due volte li aveva perduti, sempre con la Francia. La prima volta a Marsiglia nel 1984 con un gol di Platini a un minuto dalla fine, l'altra a Bruxelles nel 2000 con un rigore di Zidane quando di minuti ne mancavano tre. Nella coda stavolta ha invece trovato la gioia, quando ormai gli allenatori già preparavano i nomi dei cinque tiratori da mandare sul dischetto, quando la partita stava per abbracciare l'assurdità di aspettarsi tutto dai portieri senza averli mai impegnati per 120 minuti. Quando Kalinic ha inquadrato non lo specchio, ma l'idea della porta con un colpo di testa, a Rui Patricio non è parso vero di potersi rotolare a terra con la palla fra le mani.

Già durante tutto il primo tempo non c'era stato spazio per niente e per nessuno, con la Croazia imprigionata dentro una fitta rete di passaggi, di cui appena un venti per cento nella tre quarti avversaria e cinque palloni in tutto arrivati in area di rigore, dove peraltro spesso mancava Mandzukic, così abbattuto da andare a cercarsi un altro lavoro lateralmente, a destra. Alla bella Croazia vista fino a ieri è mancato in sostanza Modric, rientrato dall'infortunio per giocare un calcio di cotone, sempre molto elegante, ma esile e leggero. Nelle sere d'estate ci sta, in fondo è già tanto che abbia retto i 120 minuti, il suo ct pensava non arrivasse neppure a novanta. Vediamo ora fin dove arriva Ronaldo.

(su Repubblica il 26 giugno 2016)

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