mercoledì 15 giugno 2016

Il centravanti che segnò dopo 500 giorni


BORDEAUX. Ádám Szalai fa lo stesso lavoro di Higuaín, centravanti, e i centravanti tengono il conto dei gol. Così mentre Gonzalo in Italia calcolava i suoi, trentaquattro - trentacinque - trentasei, anche Ádám segnava il proprio record in Bundesliga. Cifra tonda. Zero. Un gol nemmeno per sbaglio. Una deviazione, una tibia, un fuorigioco. Niente. 

Si sa come vanno le cose. Più lo cerchi più ti sfugge. Non fartene un’ossessione, ti dicono quelli attorno a te, gioca per la squadra e ti sbloccherai. In genere funziona. Non con Ádám , non in questa stagione, trascorsa per metà in tribuna all’Hoffenheim e per metà in prestito all’Hannover, per giunta con un mese di stop a febbraio per infortunio. Aspetta oggi, aspetta domani, l’attesa ha toccato i cinquecento e passa giorni. L’ultima gioia era del 12 dicembre 2014. Devi aspettare l’attimo giusto, questo ti dicono per farti coraggio, in questo alla fine consiste il lavoro, ma nessuno ti dà la certezza che arriverà.
L’attimo di Ádám Szalai era nascosto in Francia, nella prima partita di un torneo internazionale che l’Ungheria aspettava da trent’anni, in coda a un’ora abbondante di calcio quasi inguardabile. Uno scambio macchinoso con Kleinhesler e poi una specie di allungo in spaccata, con una sua nobile goffaggine. Il ct Storck l’ha chiamata “la ciliegina sulla torta”, felice di questa zavorra lasciata finalmente a terra. Szalai è un centravanti perfetto davanti alla telecamera della tv ungherese, dove mette in fila una serie di frasi vuote. “Grazie a chi mi ha aiutato in questo periodo” eccetera eccetera. Niente a che vedere con l’eccitato discorso sulla fine di una sofferenza, tenuto a novembre in un bar davanti ai tifosi dopo la vittoria nello spareggio per la qualificazione contro la Norvegia. Szalai smise di parlare e offrì del brandy a duecento persone. Il giorno dopo non ricordava niente.
Aveva lasciato la nazionale con un annuncio su facebook nell’agosto 2014, dopo un’esclusione. “Non giocherò mai più finché resta Pintér come ct”. È tornato, finendo per incidere su questa partita più del celebrato Alaba, che ha giocato i primi dieci minuti da marziano (un palo subito) e il resto un po’ da narciso e un po’ da presuntuoso. L’uomo che non segnava da 500 giorni ha fatto così felice il premier più legato al calcio. Per riportare l’Ungheria dov’è adesso, Orbán ha fatto approvare leggi che detassano gli investimenti nello sport, il paese ha ricominciato a costruire stadi. I vecchi li hanno buttati giù. Hanno demolito pure quello del Mtk Budapest, dove girarono “Fuga per la vittoria”. La federcalcio ha aperto accademie in cui si organizzano corsi di lingue straniere per mandare i giovani calciatori all’estero con un minimo di competenze. Dopo il 2-0 all’Austria, con raddoppio nel finale di Stieber, Orbán ha chiamato per fare i complimenti. “Gli inquieti magiari sono dei napoletani biondi” scriveva Gianni Brera. E comunque Szalai ha più capelli di Higuaín.

(da la Repubblica del 15 giugno 2016)

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