C'è una nuova Germania che contraddice le nostre certezze. Potevamo batterli o perdere, ma noi eravamo i creativi e loro gli uniformi. Noi estrosi, loro assennati. Noi l’ingegno, loro la saggezza. Noi la follia, loro l’equilibrio. Ora non più. La Germania di Löw sembra più latina di quest’Italia che gioca su organizzazione, corsa, efficienza. Ha abbracciato la strada che una volta piaceva al nostro calcio.
La veronica di Draxler fra due slovacchi e i suoi dribbling feroci sulla linea di fondo sono le ultime manifestazioni di un mutamento. La fantasia è la cifra di questa Goldene Generation, una banda di ali e mezzepunte spuntate così numerose nel calcio tedesco da far dire al vecchio interista Hansi Müller di «non aver mai visto una cosa del genere nella nostra storia». Non è successo per caso. Quando a Rotterdam il portoghese Sergio Conceiçao segnò tre gol a Kahn - Europei 2000 - suonò un allarme.
I tedeschi uscirono dal girone con un solo gol fatto e con la certezza che c’era una tendenza da invertire per la sola nazionale capace di perdere dall’Inghilterra negli ultimi 34 anni. Il modello attuale di giocatore ha le sue radici in quella disfatta. I Reus, i Götze, gli Özil, i Draxler sono nati così perché così li ha voluti la Germania. Per rompere la stagnazione, negli anni in cui pure l’economia del paese era immobile. Gli Under 23 in campionato erano all’epoca il 6 percento. In nazionale era ancora titolare Lothar Matthäus. Aveva trentanove anni.
La federcalcio tedesca varò una riforma. Le squadre professionistiche dovettero darsi una Academy e strutture nuove, tuttora il regolamento prevede finanche il numero di luci artificiali da montare intorno ai campi. Ci fu qualche resistenza in Bundesliga. Due squadre votarono contro per i costi elevati. L'Eintracht Francoforte dovette spendere 15 milioni di euro per adeguarsi. Solo il Werder Brema si oppose al principio di selezione, in nome di un'idea di sport che comprendesse la pratica sportiva diffusa e la solidarietà. Nacquero 121 centri regionali per ragazzi dai 10 anni in su. Lo scopo era che tutti ne avessero uno nel raggio di 25 km da casa. I tedeschi si misero a studiare i centri di formazione all'avanguardia, quelli di Francia e Olanda. Da allora seicentomila ragazzi ogni anno sono sotto gli occhi di 1300 tecnici. È un movimento che investe 96 milioni di euro l’anno nei vivai, il prezzo dell’ultimo mercato del Milan.
La vera rivoluzione c’è stata nei metodi, con il “Programma di promozione del talento”. Joerg Daniel che lo avviò, disse: «Se qualche ragazzo di talento dovesse nascere in un villaggio sperduto fra le montagne, noi lo troveremo ». Volevano dei Conti e dei Del Piero. Hanno fatto crescere la qualità dei corsi per gli istruttori. Hanno scelto di puntare su meno corsa e più pallone. Fra i 10 e i 13 anni, nel reclutamento dei ragazzi il fisico non conta. Viene incoraggiata la libertà, spesso durante gli allenamenti i ragazzi giù più grandi giocano con un sottofondo musicale, in qualche caso con la riproduzione dei rumori del tifo, per abituarsi al contesto. I trequartisti di Löw che si scambiano le posizioni sono gli ex bambini a cui insegnavano a essere spensierati in campo. I vivai sono stati riempiti di Footbonaut, una macchina che spara un pallone dagli angoli verso il centro, dove in un semicerchio il ragazzino deve stopparlo e indirizzarlo nel quadrante che si illumina fra i 64 possibili. È stata brevettata da un berlinese, Christian Güttler. Costa tre milioni di euro. Si toccano più palloni dentro quell'affare in 10 minuti che in una settimana nei vivai italiani. Riflessi e tecnica.
È una gabbia ma aiuta a liberarsi delle altre. Götze è cresciuto lì dentro. Draxler era già pronto per esordire a 17 anni in Bundesliga, tanto che lo Schalke 04 venne richiamato dal governo regionale della Westfalia per aver consentito al ragazzo di lasciare la scuola. L'allenatore Magath aveva detto ai genitori che "un diploma nei prossimi dieci o quindici anni non gli servirà". Draxler dovette essere re-iscritto dal club a scuola. Quando lo mandarono in campo contro il Norimberga in una notturna di Coppa, un professore avvertì l'ispettorato del lavoro: in Westfalia i minori possono lavorare solo dalle 6 alle 20, tranne i panettieri, e Draxler trafficava con i palloni non con la farina.
Per la Germania s'è trattato di una rivoluzione. I dribbling di Pierre Littbarski, convocato per tre Mondiali e due Europei fra 1982 e 1990, erano considerati a suo tempo un’anomalia. Una sontuosa eccezione. Olaf Thon, trequartista da 1 metro e 70, qualche anno più tardi sarebbe stato convertito in difensore centrale. Prima del 1981 la Germania non aveva vinto nulla a livello giovanile. Era dall'altra parte del Muro che lavoravano: la Ddr aveva vinto un titolo europeo U19 nel '70 e un altro nel 1986, poi due finali Under 21 fra 1974 e 1980. Ma la riunificazione portò il prosciugamento del serbatoio, non il contagio a ovest. Dal titolo europeo Under 16 vinto nel '92 in Germania sono passati diciassette anni senza altri successi. La programmazione post 2000 ha invece fatto fiorire i genietti che hanno portato cinque titoli giovanili e il Mondiale dei grandi in Brasile. In Italia-Germania di sabato, quelli che hanno fantasia sono loro.
(edizione rieditata di un articolo uscito su Repubblica il 28 giugno 2016)
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