Fuori posto e spento. Mario Götze, quel Götze là, il ragazzo del gol all'Argentina a sette minuti dalla fine dei tempi supplementari della finale mondiale, uno dei cinque tedeschi fra i primi quindici del Pallone d'oro. Quante cose possiamo infilare in due anni. Götze è riuscito a metterci dentro delusioni inattese, non più di una ventina di gol dopo il Maracanã, quattro mesi di stop per una lesione agli adduttori, nove panchine nelle successive diciotto partite e sei minuti appena giocati in Champions League quest'anno, cinque più uno contro il Benfica, cioè spezzoni senza significato. A maggio ha preso un colpo a una costola ed è rimasto in sala d'attesa un altro paio di settimane, in tempo per saltare pure la finale di Coppa di Germania.
Nessun altro calciatore aspetta gli Europei quanto lui, e Löw lo sa. Perciò stasera il c.t. pare intenzionato a sistemarlo al centro dell'attacco, nel debutto della Germania contro l'Ucraina, prima tappa di un percorso con cui i tedeschi contano di arrivare dove non sono stati mai, con due corone in testa, campioni d'Europa dopo il Mondiale, com'è già riuscito alla Francia (1998-2000) e alla Spagna (2010-2012). Il loro ultimo titolo è vecchio di vent'anni. Quando inseguirono la doppietta negli anni '70, andarono a sbattere contro il cucchiaio di Panenka. Nelle intenzioni di Löw, l'avvelenato Götze può diventare definitivamente ciò che con Guardiola alla fine non è stato mai. Pep se lo fece comprare dai nemici del Borussia Dortmund quando era appena arrivato in Germania, 37 milioni di scandalo e di sollevazione popolare. Voleva farne il Messi di Baviera. Un'illusione doppia: credere che basti essere un brevilineo per giocare alla Leo, credere che la più bella macchina di calcio dell'età contemporanea possa essere ricostruita pari pari altrove. E adesso siamo finiti qui. "Guardiola ha distrutto Götze" secondo l'agente del calciatore. "Guardiola non lo ha fatto crescere" secondo Augenthaler e altri padri nobili. Il gol del Mondiale è l'ultimo lampo di Götze che ricordiamo. Il Bayern non lo ha migliorato, ne ha congelato la carriera, perché dopo aver imposto al mondo l'idea del centravanti finto, Guardiola a Monaco s'è divertito con uno vero.
Ma la Germania un Lewandowski non ce l'ha. Götze appartiene alla generazione dei calciatori dal ruolo sospeso e dal tratto accennato. Sono i figli del neo-calcio che scoraggia la specializzazione e incentiva la polivalenza. È una pianta che fiorisce soprattutto fra i tedeschi. I Reus, gli Schürrle, i Draxler. Sono gli indefiniti che hanno cambiato tono all'attaccante classico in maglia bianca, lo sfondatore, l'uomo che vive in area, da Gerd Müller a Hrubesch, da Bierhoff a Klose. "Se giochiamo come sappiamo, con il nostro possesso palla, possiamo battere tutti", ha detto Löw, convinto - parole di qualche mese fa - "che a questa squadra non serve un Hrubesch". Dopo l'addio di Klose, in fondo ne avrebbe solo uno che proviene da quella stirpe. Si chiama Mario pure lui, di cognome fa Gómez e dopo i disastri e gli infortuni di Firenze ha fatto il capocannoniere in Turchia. Quante cose succedono in due anni.
(da la Repubblica del 12 giugno 2016)
Nessun altro calciatore aspetta gli Europei quanto lui, e Löw lo sa. Perciò stasera il c.t. pare intenzionato a sistemarlo al centro dell'attacco, nel debutto della Germania contro l'Ucraina, prima tappa di un percorso con cui i tedeschi contano di arrivare dove non sono stati mai, con due corone in testa, campioni d'Europa dopo il Mondiale, com'è già riuscito alla Francia (1998-2000) e alla Spagna (2010-2012). Il loro ultimo titolo è vecchio di vent'anni. Quando inseguirono la doppietta negli anni '70, andarono a sbattere contro il cucchiaio di Panenka. Nelle intenzioni di Löw, l'avvelenato Götze può diventare definitivamente ciò che con Guardiola alla fine non è stato mai. Pep se lo fece comprare dai nemici del Borussia Dortmund quando era appena arrivato in Germania, 37 milioni di scandalo e di sollevazione popolare. Voleva farne il Messi di Baviera. Un'illusione doppia: credere che basti essere un brevilineo per giocare alla Leo, credere che la più bella macchina di calcio dell'età contemporanea possa essere ricostruita pari pari altrove. E adesso siamo finiti qui. "Guardiola ha distrutto Götze" secondo l'agente del calciatore. "Guardiola non lo ha fatto crescere" secondo Augenthaler e altri padri nobili. Il gol del Mondiale è l'ultimo lampo di Götze che ricordiamo. Il Bayern non lo ha migliorato, ne ha congelato la carriera, perché dopo aver imposto al mondo l'idea del centravanti finto, Guardiola a Monaco s'è divertito con uno vero.
Ma la Germania un Lewandowski non ce l'ha. Götze appartiene alla generazione dei calciatori dal ruolo sospeso e dal tratto accennato. Sono i figli del neo-calcio che scoraggia la specializzazione e incentiva la polivalenza. È una pianta che fiorisce soprattutto fra i tedeschi. I Reus, gli Schürrle, i Draxler. Sono gli indefiniti che hanno cambiato tono all'attaccante classico in maglia bianca, lo sfondatore, l'uomo che vive in area, da Gerd Müller a Hrubesch, da Bierhoff a Klose. "Se giochiamo come sappiamo, con il nostro possesso palla, possiamo battere tutti", ha detto Löw, convinto - parole di qualche mese fa - "che a questa squadra non serve un Hrubesch". Dopo l'addio di Klose, in fondo ne avrebbe solo uno che proviene da quella stirpe. Si chiama Mario pure lui, di cognome fa Gómez e dopo i disastri e gli infortuni di Firenze ha fatto il capocannoniere in Turchia. Quante cose succedono in due anni.
(da la Repubblica del 12 giugno 2016)
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