lunedì 13 giugno 2016

Il lontanissimo Mondiale di Götze


LENS. Mentre Guardiola salutava impassibile la Germania, sfiancato da Simeone e dall'Atlético di Champions, Götze quella sera stessa se ne stava con un maglioncino rosso e un borsello di cuoio sotto il braccio, addossato al corridoio dell'Allianz Arena.
Fuori posto e spento. Mario Götze, quel Götze là, il ragazzo del gol all'Argentina a sette minuti dalla fine dei tempi supplementari della finale mondiale, uno dei cinque tedeschi fra i primi quindici del Pallone d'oro. Quante cose possiamo infilare in due anni. Götze è riuscito a metterci dentro delusioni inattese, non più di una ventina di gol dopo il Maracanã, quattro mesi di stop per una lesione agli adduttori, nove panchine nelle successive diciotto partite e sei minuti appena giocati in Champions League quest'anno, cinque più uno contro il Benfica, cioè spezzoni senza significato. A maggio ha preso un colpo a una costola ed è rimasto in sala d'attesa un altro paio di settimane, in tempo per saltare pure la finale di Coppa di Germania.

Nessun altro calciatore aspetta gli Europei quanto lui, e Löw lo sa. Perciò stasera il c.t. pare intenzionato a sistemarlo al centro dell'attacco, nel debutto della Germania contro l'Ucraina, prima tappa di un percorso con cui i tedeschi contano di arrivare dove non sono stati mai, con due corone in testa, campioni d'Europa dopo il Mondiale, com'è già riuscito alla Francia (1998-2000) e alla Spagna (2010-2012). Il loro ultimo titolo è vecchio di vent'anni. Quando inseguirono la doppietta negli anni '70, andarono a sbattere contro il cucchiaio di Panenka. Nelle intenzioni di Löw, l'avvelenato Götze può diventare definitivamente ciò che con Guardiola alla fine non è stato mai. Pep se lo fece comprare dai nemici del Borussia Dortmund quando era appena arrivato in Germania, 37 milioni di scandalo e di sollevazione popolare. Voleva farne il Messi di Baviera. Un'illusione doppia: credere che basti essere un brevilineo per giocare alla Leo, credere che la più bella macchina di calcio dell'età contemporanea possa essere ricostruita pari pari altrove. E adesso siamo finiti qui. "Guardiola ha distrutto Götze" secondo l'agente del calciatore. "Guardiola non lo ha fatto crescere" secondo Augenthaler e altri padri nobili. Il gol del Mondiale è l'ultimo lampo di Götze che ricordiamo. Il Bayern non lo ha migliorato, ne ha congelato la carriera, perché dopo aver imposto al mondo l'idea del centravanti finto, Guardiola a Monaco s'è divertito con uno vero.

Ma la Germania un Lewandowski non ce l'ha. Götze appartiene alla generazione dei calciatori dal ruolo sospeso e dal tratto accennato. Sono i figli del neo-calcio che scoraggia la specializzazione e incentiva la polivalenza. È una pianta che fiorisce soprattutto fra i tedeschi. I Reus, gli Schürrle, i Draxler. Sono gli indefiniti che hanno cambiato tono all'attaccante classico in maglia bianca, lo sfondatore, l'uomo che vive in area, da Gerd Müller a Hrubesch, da Bierhoff a Klose. "Se giochiamo come sappiamo, con il nostro possesso palla, possiamo battere tutti", ha detto Löw, convinto - parole di qualche mese fa - "che a questa squadra non serve un Hrubesch". Dopo l'addio di Klose, in fondo ne avrebbe solo uno che proviene da quella stirpe. Si chiama Mario pure lui, di cognome fa Gómez e dopo i disastri e gli infortuni di Firenze ha fatto il capocannoniere in Turchia. Quante cose succedono in due anni.

(da la Repubblica del 12 giugno 2016)

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