Finanche i super eroi hanno paura dell'ultima scena. Devono aver visto com'è andata a Zidane. Due anni dopo quella testata che a Berlino fece ombra a una carriera con un Mondiale e un Pallone d'oro, al cinema la Marvel ha inventato un nuovo inizio dopo l'epilogo, qualcosa che succede dopo i titoli di coda. Così, se non vi è piaciuto come Iron Man s'è giocato le sue carte, arriva Nick Fury e vi apparecchia un post finale. Un calcio di rigore per salutare è perfetto nelle partite d'omaggio, quella messinscena malinconica che si finisce per giocare con un po' di pancetta in mezzo a vecchi amici coi capelli bianchi. L'arbitro fischia, il portiere si butta dall'altra parte e la folla è contenta. «In settimana avevano detto che non me lo avrebbero lasciato calciare», spiegherà Bellini dopo aver messo in porta il gol dell'uno a uno contro l'Udinese. Si capisce. A Bergamo avevano fatto la stessa esperienza con Denis a gennaio, il giorno prima del suo volo di ritorno in Argentina. Rigore. Quello tira, s'impappina e sbaglia. Col figlio dietro la porta. Nel dramma riuscì almeno a prendere la respinta.
Il più pesante fra i rigori d'addio capitò sul piede di Liam Brady il 16 maggio '82 a Catanzaro. La Juve aveva già comprato Platini, stavano per lasciarsi. Eppure il tiro della vittoria a 15' dalla fine, il tiro che valeva lo scudetto, andò a prenderselo l'irlandese nella sola maniera possibile. Con incoscienza. Senza comprendere l'errore fra le ipotesi. «Era la normalità» spiegò anni dopo. Allora Toni ha fissato Neto, «non sapevo se tirare a destra o a sinistra» e proprio nell'incoscienza s'è rifugiato. Triste, cucchiaio y final.
(uscito su Repubblica il 10 maggio 2016)
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