"E’ come i classici della letteratura per ragazzi, il Giro. E’ una storia di giovinezza, di prima primissima giovinezza. E’ la voglia di sapere chi è il ragazzo più forte di tutti. Ma proprio perché è una storia di ragazzi più incombente si fa il senso della tragedia, della morte, della sconfitta. Della vecchiaia del campione" [1]. "Il Circo ha debuttato in Toscana con una prima d’eccezione, con numeri fuori programma e un tutto esaurito" [2]. "A differenza di quella dei paesi protestanti, le domeniche dei paesi cattolici odorano di vino, di brillantina e di peccato. Il loro potere di corruzione è irresistibile. Esse vi vengono a cercare all'alba fin nel vostro letto, filtrando attraverso gli scuri delle persiane, e hanno una particolare luminosità, da cui non ci si difende serrando le palpebre. Invano si cerca di riprendere sonno, invano si tenta di dimenticare il delitto di aver lavorato gli altri sei giorni della settimana. Il buon Dio cattolico, che odia l'attività e il dinamismo, non perdona questo irridimibile peccato e vi obbliga a subirne la penitenza. Lavoratori, in piedi! Nella noia di ventiquattro ore di festa sconterete la vostra colpa" [3]."Sulle salite del Chianti l’umore battagliero degli uomini già si palesò" [4]. "Il Chianti senese è un grande parco ciclistico, un paradiso per chi interpreta la bicicletta come una compagna che regala emozioni e sentimenti. E un po' anche per la sua tradizione: dovunque, in Toscana, si respira aria di autentico ciclismo" [5]. "Su queste strade io ragazzo, cercavo scampo alla mia irrequietezza. Ecco Valdarno, ecco Val di Chiana, conosciute come il fondo delle mie tasche adolescenti, piene di sassi rosa pescati nella Sieve, di fionde, di figurine colorate, di giornali sportici e dispense poliziesche" [6]. "In Toscana è stato il grande amore per lo sport del ciclismo a creare due siepi compatte e profonde di popolo. Sui muretti, sui pendii e non soltanto nelle vie delle città, migliaia e migliaia di donne, giovani e ragazze, salutavano entusiasticamente il passaggio del Giro. Venendo su per le colline, di lontano, pareva di vedere certi fianchi del monte coperti di vigne fitte di grappoli d’uva nera, che poi da vicino si rivelavano per quel che erano realmente: gruppi densi di gente" [7]. "La bellezza in Toscana è dura, con un velo di grazia" [8]. "E' un'arma devastante, la cronometro" [9]. "Nelle cronometro non serve alcuna tattica se non quella di andare forte, in solitudine" [10].
"I ciclisti non portano in faccia le età di mezzo. Hanno volti giovani o vecchi che non dipendono dagli anni. Volti che si segnano e si sciupano tutti in un momento, in una salita, dopo una vittoria o una sconfitta, durante una cronometro. È una gara per ossessivi, la cronometro, per marziani. Il velocista è come il portiere nel calcio, non deve pensare quando scatta, deve uscire a valanga alla conquista della vittoria, (...) il cronoman è l’ala destra del ciclismo, è la solitudine dell’ala destra. Corre lungo il ciglio della strada, sulla fascia, quasi mai in mezzo, ogni tanto svaria, va a sinistra, poi torna a destra, segue una sua traiettoria mentale, dribbla i fantasmi e la noia. Solo che il ciclista non arriva mai al cross, va direttamente in rete, dopo chilometri e chilometri. Entra in rete, quando taglia il traguardo. E non gioisce. I cronomen non gioiscono al traguardo, non alzano le braccia al cielo, continuano a tenerle sul manubrio. Neanche uno scalatore, né un velocista, neppure un gregario, nemmeno se vince a sorpresa, esulta alla fine di una cronometro. Rifiata, rialza la schiena e scrolla la testa. (...) Le biciclette a cronometro sono mostruose, giocattoli futuristi per bambini cresciuti, torelli meccanici da fiera paesana – ci sali in groppa, metti un euro e ti disarcionano. Sella alta, manubrio basso dotato di corna e protuberanze che chiamano spinaci. Faccia in giù e culo in su. In posizione di discesa. Dicono, aerodinamica. Da mal di schiena, penso. Da colpo della strega. Ma è così che si va [11]. "La bicicletta è nata come anti-cavallo. Per essa l'uomo diventò somiero di se stesso e si esaltò del proprio vigore. Bicicletta e uomo si fusero con gli anni fino a suscitare misteriosissime simbiosi dinamiche. Uomini difformi piccoli sgraziati ottennero con la bicicletta risultati sportivi strabilianti. I "giganti della strada" nacquero dall'impulso turistico dei poveri e dal loro desiderio di rivincita sociale. I borghesi abbandonarono la bicicletta, di cui erano stati entusiasti, non appena si accorsero che era di tutti, e che non giovava a distinguerli. Scopersero il motorismo e lasciarono la casta ebbrezza del pedalare ai più poveri di loro" [12].
"A cronometro senti il tuo respiro come un mantice, percepisci tutti i muscoli, cerchi di modulare lo sforzo, di interpretare il tuo corpo al limite e mantenerti sempre sotto la soglia del possibile crollo, è un tempo in cui sei terribilmente solo, sei con te stesso, uno che non sta bene con se stesso non può fare la cronometro, racconta. Quando viaggi in gruppo, la maggior parte dei sensi è tesa, sul chi vive, ma ogni tanto ti distrai e vai con la mente altrove, in certi momenti riesci anche a guardarti attorno e vedere quale Italia attraversi, cogli gli odori, la natura, la gente, ma anche in gruppo sei solo, un corridore è sempre solo con la sua bicicletta, è tutt’uno con la sua bici e tutto solo, cerchi di assecondare le sensazioni del corpo, di superare le crisi transitorie, con la testa provi ad anticipare gli eventi, racconta" [11].
"I ciclisti non portano in faccia le età di mezzo. Hanno volti giovani o vecchi che non dipendono dagli anni. Volti che si segnano e si sciupano tutti in un momento, in una salita, dopo una vittoria o una sconfitta, durante una cronometro. È una gara per ossessivi, la cronometro, per marziani. Il velocista è come il portiere nel calcio, non deve pensare quando scatta, deve uscire a valanga alla conquista della vittoria, (...) il cronoman è l’ala destra del ciclismo, è la solitudine dell’ala destra. Corre lungo il ciglio della strada, sulla fascia, quasi mai in mezzo, ogni tanto svaria, va a sinistra, poi torna a destra, segue una sua traiettoria mentale, dribbla i fantasmi e la noia. Solo che il ciclista non arriva mai al cross, va direttamente in rete, dopo chilometri e chilometri. Entra in rete, quando taglia il traguardo. E non gioisce. I cronomen non gioiscono al traguardo, non alzano le braccia al cielo, continuano a tenerle sul manubrio. Neanche uno scalatore, né un velocista, neppure un gregario, nemmeno se vince a sorpresa, esulta alla fine di una cronometro. Rifiata, rialza la schiena e scrolla la testa. (...) Le biciclette a cronometro sono mostruose, giocattoli futuristi per bambini cresciuti, torelli meccanici da fiera paesana – ci sali in groppa, metti un euro e ti disarcionano. Sella alta, manubrio basso dotato di corna e protuberanze che chiamano spinaci. Faccia in giù e culo in su. In posizione di discesa. Dicono, aerodinamica. Da mal di schiena, penso. Da colpo della strega. Ma è così che si va [11]. "La bicicletta è nata come anti-cavallo. Per essa l'uomo diventò somiero di se stesso e si esaltò del proprio vigore. Bicicletta e uomo si fusero con gli anni fino a suscitare misteriosissime simbiosi dinamiche. Uomini difformi piccoli sgraziati ottennero con la bicicletta risultati sportivi strabilianti. I "giganti della strada" nacquero dall'impulso turistico dei poveri e dal loro desiderio di rivincita sociale. I borghesi abbandonarono la bicicletta, di cui erano stati entusiasti, non appena si accorsero che era di tutti, e che non giovava a distinguerli. Scopersero il motorismo e lasciarono la casta ebbrezza del pedalare ai più poveri di loro" [12].
"A cronometro senti il tuo respiro come un mantice, percepisci tutti i muscoli, cerchi di modulare lo sforzo, di interpretare il tuo corpo al limite e mantenerti sempre sotto la soglia del possibile crollo, è un tempo in cui sei terribilmente solo, sei con te stesso, uno che non sta bene con se stesso non può fare la cronometro, racconta. Quando viaggi in gruppo, la maggior parte dei sensi è tesa, sul chi vive, ma ogni tanto ti distrai e vai con la mente altrove, in certi momenti riesci anche a guardarti attorno e vedere quale Italia attraversi, cogli gli odori, la natura, la gente, ma anche in gruppo sei solo, un corridore è sempre solo con la sua bicicletta, è tutt’uno con la sua bici e tutto solo, cerchi di assecondare le sensazioni del corpo, di superare le crisi transitorie, con la testa provi ad anticipare gli eventi, racconta" [11].
note
[1] Antonio D’Orrico, l'Unità, 31 maggio 1992
[2] Vasco Pratolini, Il Nuovo Corriere di Firenze, 27 maggio 1947
[3] Indro Montanelli, Corriere della Sera, 6 giugno 1947
[4] Vittorio Varale, la Stampa, 17 aprile 1950
[5] Fabian Cancellara a Marco Pastonesi, Gazzetta dello sport, 2 marzo 2013
[6] Vasco Pratolini, "Cronache dal Giro d’Italia", 1947
[7] Velso Mucci, l'Unità, 22 maggio 1962
[8] Guido Piovene, "Viaggio in Italia", 1951
[9] Mario Fossati, la Repubblica, 16 giugno 1992
[10] Gianni Mura, la Repubblica, 28 luglio 1992
[11] Gian Luca Favetto, "Italia provincia del Giro", Mondadori, 2006
[12] Gianni Brera, "Addio bicicletta", 1964
[1] Antonio D’Orrico, l'Unità, 31 maggio 1992
[2] Vasco Pratolini, Il Nuovo Corriere di Firenze, 27 maggio 1947
[3] Indro Montanelli, Corriere della Sera, 6 giugno 1947
[4] Vittorio Varale, la Stampa, 17 aprile 1950
[5] Fabian Cancellara a Marco Pastonesi, Gazzetta dello sport, 2 marzo 2013
[6] Vasco Pratolini, "Cronache dal Giro d’Italia", 1947
[7] Velso Mucci, l'Unità, 22 maggio 1962
[8] Guido Piovene, "Viaggio in Italia", 1951
[9] Mario Fossati, la Repubblica, 16 giugno 1992
[10] Gianni Mura, la Repubblica, 28 luglio 1992
[11] Gian Luca Favetto, "Italia provincia del Giro", Mondadori, 2006
[12] Gianni Brera, "Addio bicicletta", 1964
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