mercoledì 11 maggio 2016

Il Giro di Buzzati e Ortese in Campania


"La Campania ha creato attorno al Giro un'atmosfera euforica, dimentica di antichi e recenti guai" [1]. "Sulla vocazione sudista del Giro d’Italia, per non dire di tutto il nostro ciclismo, si è scritto molto nel passato, e molto si scriverà nel futuro. Nessuno la mette in dubbio, pochi l’assecondano. L’Italia è grande, d’accordo, e soprattutto è lunga, dunque il Giro non può accontentare tutte le regioni. Però l’impressione è che la corsa ceda troppo al richiamo diciamo canonico di alcune località settentrionali, rinunciando a valide utili esplorazioni nel Meridione. (...)
Non si tratta di denaro, si tratta di buona volontà dalle due parti. Il Sud ama il ciclismo, che invece il Nord ha preso in parte a snobbare, il ciclismo sa benissimo che le sue strade prossime sono nel Sud, però si stenta a creare un Giro d’Italia decisamente meridionalistico. Eppure negli ultimi anni i massimi trionfi di folla per il Giro sono stati al Sud, e specialmente in Sicilia. Si tratta, probabilmente, di incomprensione casuale, di mutismo e sordità accidentale. Però l’impressione, ogni anno, è che il Giro si mutili di opportunità ottime di popolarità (...) Negli ultimi anni le folle al Sud si sono fatte disciplinate rimanendo entusiaste, ordinate rimanendo numerose. Le più belle volate del Giro sono ormai al Sud. Ed anche il dopo-corsa è al Sud assai valido, con ad esempio il dolce assedio agli alberghi dei corridori: mentre al Nord il Giro troppo sovente fornisce l’impressione di disturbare”. [2]. “Sole, colli verdi, un frate, pini, vigne, altri tre frati sotto un pioppo. Una bambina piccolissima che batte le mani. Improvvise folate di polvere dove la strada è in riparazione. Bambini di ogni età immaginabile. Uno storpio sulla carrozzella. Nuvole che vengono dall’est. L’aguzzo volto cotto dal sole e dalla fatica sotto il berrettino bianco” [3]. "Nei paesini di Basilicata, Campania e Molise ci sono ancora chiese addobbatissime, avvisi di funzioni speciali, e i prevosti plaudenti non hanno smesso da ieri l’altro gli indumenti speciali per la funzione solenne. Messe, manifestazioni collaterali, processioni, lotterie, tutto annunciato, suggerito oppure comandato, dipende dal tono dei manifesti. E’ tornata in mente la storiella dei due che rimpiangono, in un posto lontano, una festa così del loro paesello, e sospirando uno dice all’altro: Tutte quelle cose belle e noi due qui, a Parigi [4]. “E’ la contr’ora, quando la sonnolenza meridiana regna sulle campagne, e le strade diventano deserte, e il bovaro si addormenta all’ombra del grande faggio e nel silenzio della cucina si odono ronzare le mosche; e fuori le cicale. Ma oggi sono tutti sulla strada. Neanche i cani fanno il sonnellino e come pazzi guizzano cercando scampo dall’inferno di macchine che irrompe (...) Stupenda è la campagna intorno, immagine perfetta della serenità e della grande estate. Eppure forse qui si sta consumando un dramma. Può darsi che in mezzo a questi campi così felici si decida il Giro" [3]Nibali lascia 4 secondi a Valverde e Zakarin. "Ecco il traguardo: questo ha vinto, quello ha perduto la maglia rosa; questo, oggi, ha vinto il traguardo volante, quello è rimasto indietro, o è caduto, o si è ritirato. Ecco il traguardo: non è Viareggio o Roma o Napoli o Ancona. Non è questa o quell’altra città di cui si è studiato qualcosa quando si era a scuola, non è un pezzo d’Italia: è soltanto il traguardo. Subito dopo quel momento in cui il Giro era afferrato dalla città come da un vortice, ne seguiva un altro di placata violenza: quello in cui i corridori erano fatti salire sulle macchine, e queste si precipitavano verso gli alberghi, dove aspettavano il bagno, il massaggio, le iniezioni, il pranzo, il riposo. Mentre per i corrispondenti dei giornali, febbrilmente curvi ai tavoli di una sala stampa, o al Quartiertappa del Giro, cominciava la battaglia con la parola o l’immagine confuse, strozzate dalla stanchezza, col telefono preso d’assalto per la trasmissione dell’articolo, con i «non capisco» gridati da ottocento chilometri di distanza, schiere di massaggiatori, di camerieri, e medici e amici si affollavano intorno ai capitani; meno ai gregari; folle di ammiratori stazionavano davanti agli alberghi di lusso, facendo di tanto in tanto, con voce rauca, «quel nome», discutendo più ragionevolmente sugli altri. E le finestre e i balconi dei grandi alberghi splendevano; raggiavano le terrazze; fiotti di luce bianca uscivano dalle vetrate delle verande; fiotti di luce rossa dalle trattorie popolari o le locande. Là erano raccolti, in belle e sontuose stanze, i «capitani»; qua, intorno a rudi tavolate, i gregari, o quei giovani che forse non correvano più" [5]. "Benevento. Smaniose folle che si stenta a credere vere, balconi zeppi che si aspetta crollino da un momento all’altro per il sovraccarico di peso. Vengono in mente i quadri di Campigli. (…) Ci siano o no centri abitati, una popolazione indescrivibile è sbucata schierandosi ai lati della strada. Passando a tutta velocità, ne udiamo il rombo, come un’onda che dietro a noi si rompe scrosciando pazzamente. Ma è possibile che al mondo esistano tanti uomini? (…) Altro che quarantacinque milioni di abitanti, se l’Italia fosse tutta come qui” [3].
note
[1] Mario Fossati, la Repubblica, 27 maggio 1984
[2] Gian Paolo Ormezzano, la Stampa, 30 maggio 1987
[3] Dino Buzzati, Corriere della sera, 27 maggio 1949
[4] Gian Paolo Ormezzano, la Stampa, 27 maggio 1989
[5] Anna Maria Ortese, l'Europeo 5 giugno 1955

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