domenica 22 maggio 2016

Le Dolomiti e i cristi crocifissi di Buzzati


La pianura era ormai un ricordo. Era cancellato il sole leggero del Friuli, l’ordine gentile e austero, d’intonazione tutta asburgica, di questa terra che sembra nostalgica soltanto della disciplina e della serietà d’un tempo ormai remoto, d’una epoca in cui la campagna era ancora la gran madre. La gente della pianura era salita sulla montagna e il biancheggiare della folla disegnava sul verde compatto dei prati e dei boschi il serpeggiare della salita [1]. "Abbiamo finito con il comprare zollette di zucchero, cioccolato piccole bottiglie di cognac: provavamo quasi orgoglio di salpare per una avventura dalla quale chissà come saremo sbucati poi al sole e alla vita calma di tutti i giorni. Ridevamo di noi stessi, contenti e infagottati di maglie e di giornali" [12]. "Le Dolomiti sono belle e scintillanti come spade. Appartengono all'Iliade del Giro. Promettono gloria e ferite" [2].
"Pietre o nuvole? Una delle cose più belle e straordinarie di cui il pianeta disponga".[3]. "Le Dolomiti furono scoperte nel 1937. Oggi i corridori le affrontano su strade asfaltate, con bici che pesano solo sette chili e sono dotate di 22 rapporti. I Giganti della Strada, con il pignone fisso, dovevano pedalare anche in discesa. I monti erano pugnali" [4].
"Il Pordoi sembra un mezza bestemmia. Infatti lo è. Provate a dire “pordoi” in chiesa e vi fanno recitare tre Ave Maria e un atto di dolore" [5]. "Le Dolomiti sono scogliere di coralli, cresciute nel mare caldo, squassato dai vulcani, che occupava quest'area 200 milioni di anni fa. Qui non serve più lo scafandro del palombaro. Bisogna immergersi col tuffo del pescatore di perle, che ha gli occhi iniettati di sangue e un'audacia infinita" [6]. "La strada serpeggia per valli di una bellezza luminosa. I torrenti scrosciano spumeggianti in cascate e rapide. Le cime - Civetta e Pelmo, Marmolada e Gran Vernel, Sass Pordoi e Torri del Sella, Sassolungo e Odle - mostrano ancora labili foulard di neve. Per qualcuno saranno le montagne del destino. La dolomia offre per sogni verticali le sue pareti giallo - nere, gli spigoli eleganti, i diedri compatti, le cenge orizzontali. Un mondo di equilibri sottili, di abissi, di vie di roccia eleganti come arabeschi, di mughi e cembri, di ghiaie e fiori. La seduzione dei colori è magica. Qui si è ispirato il grande Tiziano. Qui si è nutrito Buzzati. I cavalieri del Giro non attraverseranno questi luoghi come lancieri da parata. Lassù il corridore subisce la metamorfosi. Si trasforma, perde ogni aplomb. La bici diventa strumento di tortura. Il corridore si contorce, geme, agonizza. Scopre l'altra faccia del sogno. A volte vola. La strada è uno spazio senza confini, dove abita la fantasia (...) Si sale fino a sfiorare la neve, col timore segreto di chi ha un nemico sepolto nel cuore. Lassù, dove la fatica è lente che deforma e può mutare i pini cembri in baobab, la prodezza fiorisce, come la stella alpina, sulla pietra e i vinti restano nudi come bimbi innocenti. E trema, prima di entrare fieramente nella battaglia. Il Giro è un mondo favoloso e incantato. Sulle Dolomiti la memoria lo popola di antiche presenze. Il tifo coltiva con ostinazione la suggestione dell'immortalità. Così rivede Coppi e Bartali e li fa correre come "revenant" splendidi per le strade" [6].
"In quegli anni l'epica non era solo l'abbeveratoio dei giornalisti, ma si nutriva di fatti e fattacci molto frequenti sulle strade. Nel Giro '48 la Bianchi accusò Magni di aver organizzato una catena di spinte sul Pordoi. La penalizzazione di 2' inflittagli dalla giuria fu giudicata insufficiente da Coppi, che si ritirò con tutta la squadra" [7]In cima al Pordoi c'è Cunego. "In cima al Pordoi ho sentito gridare il mio nome: era un giovane che si faceva largo tra la folla sbandierando una lettera. Mi ha raggiunto: era fuori di sé dall’emozione e dalla gioia. “Leggi, leggi” mi ha detto. Ecco cosa c’era scritto: “Caro Gatto, lo sport è una passione come la nostra fede. Siamo un gruppo di partigiani e reduci ospiti del Convalescenziario di San Martino di Castrozza; siamo venuti al Passo Pordoi per inneggiare al Giro e a l’Unità. Tu, come cronista sportivo, devi fare un accenno sul nostro giornale che noi leggiamo e diffondiamo. Mi raccomando: due righe. Saluti. Pozzi Piero. Questo saluto lassù a 2300 metri e la luce accesa negli occhi di quel giovane compagno che mi scaricava addosso la sua impazienza e la sua gioia di vivere non li dimenticherò" [8]Per ultimo arriverà De Marchi, a 44 minuti. "L’ultimo saliva dondolando, con l'andatura che i francesi, con eufemismo crudele, chiamano "en danseuse", danzando. Quel ballo era un'agonia. L'applauso era un placebo senza risultato. La strada era una zattera alla deriva" [9].
"Le Dolomiti sono un territorio magico. Scogliere coralline, oggi popolate di fate e salvans. Lì la pietra arrossisce nell'enrosadira. E vola l' aquila. Anche i bisonti hanno le ali. Si sentono come Tita Piaz, il Diavolo delle Dolomiti, come Preuss o Winkler. Si sentono in bilico su crode audaci e annaspano nel fondovalle. I bisonti, come gli argonauti, partecipano in gruppo. Portano il migliore amico, con il proposito di batterlo. Allineano a bordo pista le pupille di fidanzate, mogli, amanti. Riscoprono la passione per nonne dimenticate. Il bisonte sa. Diventa esperto di scioline, collezionando tutte le colle del mondo. Studia il percorso. Conosce i carboidrati e le fonti proteiche, gli zuccheri complessi e gli aminoacidi ramificati, l'azione anti-crampi di potassio e magnesio. Pratica l' astinenza. Esperimenta. Si allena e reintegra. Accelera il recupero con soluzioni idro-saline. Inanella chilometri. Segna tempi. Fa il conto alla rovescia" [10]. "La scalata del Pordoi visibile da rampa a rampa è stata per me che la vivevo in piedi, sul predellino della macchina, una vittoria degli occhi, delle mani, della bocca" [8]I corridori si trovarono a precipitare insieme per la strada ghiaiosa in mezzo al bosco. E il bosco era diventato nero. E nere le nuvole, tutte sfrangiate di sotto. Di Dolomiti ogni tanto qualche selvaggia rocca, tra le nebbie. Qualcosa gli punzecchiò la faccia e le cosce. Grandine. Tempesta sulle montagne. (…) I severi abeti fuggivano via ai lati, tutti sghembi per la velocità. Fango. I freni cigolavano come gattini che chiamano la mamma. Non c’era anima viva. Niente altro che il suono delle biciclette. Il ticchettio furioso della grandine e quello stridio dei freni. Nulla di fatto, dunque. (…) Laggiù nel fondovalle, il sole ricomparve, non più grandine e vento, i corridori presero respiro. (…) Tutti somigliavano ad altrettanti cristi crocifissi" [11].
note
[1] Luigi Gianoli, Gazzetta dello sport, 31 maggio 1962
[2] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 21 maggio 2005
[3] Dino Buzzati, Corriere della sera
[4] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 12 maggio 2009
[5] Marco Pastonesi, "Il diario del gregario"
[6] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 2 giugno 1998
[7] Gianni Mura, 20 ottobre 2013
[8] Alfonso Gatto, l'Unità, 13 giugno 1947
[9] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 1 giugno 1997
[10] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 28 dicembre 2005
[11] Dino Buzzati, Corriere della sera, 2 giugno 1949
[12] Alfonso Gatto, l'Unità, 5 giugno 1948

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