"Oggi il Giro plana a Sud verso il mare e il sole fa lampeggiare sulle acque straordinari disegni" [1]. "Nel sole del mattino, con le sue ombre lievi e celesti, la Calabria pareva una di quelle terre che si vedono nelle vetrine delle agenzie di viaggi, piene di felicità (...) Sul bordo della strada due bovi, straordinariamente carducciani, che, immobili, contemplavano il fondo valle, cioè la parte opposta, non volsero di un millimetro la testa, quando la bufera delle macchine passò rasente. La strada si spinse tra boscaglie che giurerei, a giudicare dalla fisionomia, popolate da iene e briganti, ma non ne sortì nulla di male (...) Le ombre dei grandi campioni morti sono venute e con spettrali gambe pedalano evanescenti velocipedi. Anch’essi, vecchi, cadenti, stanchissimi e un poco pazzi. Ti scortano in silenzio. Ora, per darti coraggio, le ranocchie di Calabria ti canteranno le loro marcette militari. E per farti strada le lucciole, di solito così fiscali, accenderanno apposta i fanalini" [2].
Cinque giorni tra la Calabria e la Basilicata trascorse in bici Luigi Vittorio Bertarelli, milanese, imprenditore tessile, un trentottenne nel 1897. Era tra i fondatori del Touring Club, il suo reportage finì sul giornale La Bicicletta. "Non vi è alcuno che conosca così poco il proprio paese quanto l'italiano (...) Cosicché il settentrionale in Calabria assume il carattere di qualche cosa di raro, di un mondo così diverso che non si può formarsene un'idea, e l'Alta Italia nel linguaggio popolare calabrese diventa l'Altra Italia" [3]. Bertarelli mostrò la fretta contro la lentezza del Gran Tour. Mostrò una Calabria di spiagge basse e di dune sabbiose, piante, chiazze di acque stagnanti, canneti sterminati . "E' un caleidoscopio. Dal Capo Vaticano al Capo Subero sono 50 km di spiaggia ove acqua e terra sono dipinte di tali luci che nessuna tavolozza saprebbe riprodurre (...) Splendidi convolvoli dalle rosee corolle pensano come liane dai sugheri contorti, si allacciano a lentischi impenetrabili, cespugli di camomilla quasi arborea mescono le loro mille margherite al verde dei quercioli; grandi cardi selvatici monocromi, e fichi d'India assiepano il ciglio della strada; rilucono come occhi felini sui frassini le cantaridi; armenti di montoni neri, più sporchi del possibile, le ricurve corna spesso rotte, pascolano sulla scogliera, guardati da cani ringhiosi (...) Racconti paurosi di briganti vengono in mente in quel paesaggio, che ne fu un tempo classica cornice. Qui ebbero nido inespugnabile capi di fama terribile: oggi ne restano solo le tradizioni. Ragazze che tornano dal lavoro mi salutano francamente; i lavoratori fermano le zappe e mi stanno a guardare, e sempre mi apostrofano con un inesprimibile garbuglio di suoni che vuol dire: d'onde vieni? dove vai? Nessuno è mai armato, né qui né altrove, in Calabria (...) Ritorno sulla strada: il sole è vincitore" [4].
"Sono quattro i corridori calabresi approdati al professionismo. Il primo è stato Giuseppe Canale, classe '34, pro' nel '59. Poi Pino Faraca, di Cosenza: pro' dall'81 all'86, nel Giro '81 conquistò la maglia bianca (vinse con la Honved Bottecchia la cronosquadre Lignano Bibione). Il terzo è ancora un cosentino: Michele Coppolillo, classe '67, tra i grandi dal '91 al 2001 (vinse un Pantalica e una tappa al Mediterraneo). Infine Roberto Sgambelluri, di Melito di Porto Salvo (classe '74), ritiratosi nel 2004: al suo attivo anche una tappa al Giro d'Italia, la Rieti-Lanciano nel 1997" [5]. La storia della famiglia Faraca raccontata da Marco Pastonesi: "Pino, primo di 7 fratelli, 5 maschi e 2 femmine: se c'è stato un momento in cui tutti e cinque i maschi andavano in bici, nel senso del pronti-via, la colpa è del papà Francesco. Che si difende: «No, la colpa è del Giro d' Italia... Era il '49. Terza tappa: Villa San Giovanni-Cosenza, 214 km, scovai un bel posto per godermi il passaggio dei corridori. Un bel posto, ma sbagliato: era in discesa. Sfrecciò Guido De Santi, poi vincitore per distacco, sfrecciò il gruppo, sfrecciò la maglia rosa, che era Cottur. Il giorno dopo, Cosenza-Salerno, 292 chilometri, vinse Coppi. Da quel momento m'innamorai della bici. Comprai a rate una Girardengo, cambio a due levette posteriori: se la corsa partiva da Reggio, 200 chilometri ad andare, 150 di corsa, altri 200 a tornare, tutto in bici. Da dilettante ho corso con Pambianco, Ranucci, Aldo Moser e Maule. Se una San Pellegrino fosse stata di un solo chilometro più corta, l'avrei vinta io, invece fui ripreso e staccato». Intanto Pino dava battaglia da dilettante: «Emigrante, perché le corse sono concentrate in Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana, ma sempre con un' irresistibile nostalgia per la mia terra e il mio mare». Dava battaglia da professionista: «Nel 1981, primo Giro, primo fra i neoprofessionisti, maglia bianca». «Il mio primo eroe - confida Coppolillo, cosentino, gregario di Argentin e Pantani - è stato Faraca». Quando Pino non ha più potuto dare battaglia in salita («Di un Giro dell'Appennino ricordo solo la partenza e poi il risveglio nelle lenzuola di un ospedale, mia madre che dice "Pino, io vado", io che le rispondo "di già?", e lei che spiega "Pino, è una settimana che sono qui"»), dà battaglia sulla tela: «Lì ricompaiono strade, facce, muscoli, e poi velocità, colori, montagne, e poi ancora la stessa voglia di scalare e scollinare. Vincerò le mie Tre Cime di Lavaredo quando qualcuno, guardando un mio quadro, senza paura di sbagliare dirà: "È un Faraca"». Per ora si deve accontentare di: «È Faraca» [6].
Amantea, al chilometro 60, è la città di Anton Calabrès, partito per le lontane Americhe con Colombo sulla Pinta. Lì passano in testa Boem Rosskopf Braendle e Mohoric. “Va da sé che i corridori il mare non l’hanno visto (…) Il mare, se non altro, ha visto i corridori, spingendo le sue creature fino ai bordi della strada. Pescatori e marinai, turisti e bagnini, se rallenti un attimo vedi anche le prime spellature, e senti l’odore delle lozioni abbronzanti, dei fasci d’alghe sulla spiaggia. Ma è tutto confuso, non c’è tempo. Non s’è fermato nessuno, i corridori sanno il mare a memoria. Il mare rende buffi i corridori che sembrano affetti da strane malattie epidermiche, neri sul volto e sul collo, e da sopra il ginocchio alle caviglie, spaventosamente pallidi per il resto del corpo. E’ buono il mare solo nel tardo inverno, quando anche i sassi sembrano conservare il ricorso dell’estate precedente e il presagio di quella che verrà. Adesso non è buono né cattivo. Non c’è, semplicemente” [7]. “Ho iniziato ad amare le biciclette facendo correre le palline con l’effigie dei ciclisti in interminabili pomeriggi passati attorno a una pista di sabbia sull’arenile (…) Costruivamo le piste scegliendo il bambino più piccolo, e trascinandolo per le gambe, come fosse un aratro, su e giù per la spiaggia fino a riportarlo al punto di partenza per chiudere il circuito. Uno scavo superficiale di sabbia umida e compatta che ricordava le volute di un intestino. Con un secco colpo dell’indice che scivolava sul fianco del pollice, spingevamo avanti le biglie di plastica colorate, con le immagini dei corridori più famosi. La mia preferita era quella blu con il faccione malinconico di Federico Bahamontes, soprannominato l’aquila di Toledo” [8]. "Giro di Calabria, non so di che anno. Incontro Lupo Mascheroni, la notte della vigilia: Mascheroni è il capo meccanico della Legnano. Gino corre per la sua Bartali. Perché non si va tutti e tre al cinema?, propone Ginettaccio: la corsa è un affare di domani. Duecentocinquanta tormentati chilometri, il menù. Contano per il campionato italiano un cinematografo fumoso, un interminabile giallo. Gino va a nanna che è l'una. Sulla porta della camera ci saluta. "E voi credete che domani io perda il Giro di Calabria e il titolo? Mi avete accompagnato - sogghigna - al cinematografo, per testimoniare una mia probabile sconfitta, minchioni che siete!". L'indomani Gino vince. Ci scorge, nel dopocorsa e ci indica ai suoi ammiratori. Sulle spalle dei più accesi, mi sembrò il Gattamelata di Donatello. Un Gattamelata sbalzato di sella, solamente privo dello spadone. Gli occhi gli lampeggiavano" [9].
Il primo arrivo di tappa in Calabria è del 1929, si va da Potenza a Cosenza e vince Binda. Oggi, da Catanzaro a Praia a Mare, è “una galoppata frenetica sotto il sole, un sole cattivo, nella circostanza specifica, perché fa accusare di più lo sforzo, e il sudore della fronte cola giù dagli occhi e bisogna correre a bocca chiusa, perché il sudore s’infila dappertutto” [7]. "Qualcuno, nel dignitoso Mezzogiorno, regge ancora sbrendoli con annose bretelle borghesi. La vecchia cinghia militare, nel resto d’Italia: o addirittura un pezzo di corda, come i frati. Gli italiani, vestiti così, aspettano vicino alle siepi, vicino ai ponti, vicino alle barriere daziarie: arrampicati sui tralicci dei piloni dell’alta tensione, seduti sui muretti diroccati. Aspettano non si sa cosa, non si sa se tristi o contenti" [10]. “Una tappa balneare, si diceva alla vigilia” [7], mentre invece "qui, nella terra di Calabria, che ha affascinato Omero, che, nell'Odissea scrisse: A venir qui anche un dio immortale doveva restare stupito guardando e godere in cuor suo" [5] vince un ragazzo che si chiama Ulissi.
note
[1] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 18 maggio 1998
[2] Dino Buzzati, Corriere della sera, 24 maggio 1949
[3] Augusto Guido Bianchi, La Bicicletta, 1897, prefazione al reportage di Luigi Vittorio Bertarelli
[4] Luigi Vittorio Bertarelli, La Bicicletta, 1897
[5] La Gazzetta dello sport, 4 maggio 2005
[5] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 8 maggio 2005
[6] Marco Pastonesi, la Gazzetta dello sport, 21 gennaio 2005
[7] Gianni Mura, la Gazzetta dello sport, 29 maggio 1966
[8] Francesco M. Cataluccio, L’ambaradan delle quisquiglie, Sellerio
[9] Mario Fossati, la Repubblica, 17 luglio 1999
[10] Orio Vergani, Corriere della sera, 20 giugno 1946
[1] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 18 maggio 1998
[2] Dino Buzzati, Corriere della sera, 24 maggio 1949
[3] Augusto Guido Bianchi, La Bicicletta, 1897, prefazione al reportage di Luigi Vittorio Bertarelli
[4] Luigi Vittorio Bertarelli, La Bicicletta, 1897
[5] La Gazzetta dello sport, 4 maggio 2005
[5] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 8 maggio 2005
[6] Marco Pastonesi, la Gazzetta dello sport, 21 gennaio 2005
[7] Gianni Mura, la Gazzetta dello sport, 29 maggio 1966
[8] Francesco M. Cataluccio, L’ambaradan delle quisquiglie, Sellerio
[9] Mario Fossati, la Repubblica, 17 luglio 1999
[10] Orio Vergani, Corriere della sera, 20 giugno 1946
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