venerdì 20 maggio 2016

La bicicletta e l'aria della montagna


"Si va sulle montagne. Ciascuno con i suoi sogni e le sue ferite. Vedremo il corridore che si torce, si flette, spasima. L'immagine a pedali dell'evangelico "Sitio", ho sete. E lì, anche tra i battuti, ci saranno tracce di splendore" [1], "sul ring più grandioso e solenne che la natura possa costruire con i suoi giganteschi e favolosi operai dell’alta montagna [2].
"Le tappe di montagna ci sono sempre state, ma se ci si mette anche la natura, allora il Giro assume quell’aspetto di realtà romanzesca, che era stato il lato più entusiasmante e sadico delle sue prime edizioni. Il Giro non è soltanto ciclismo, si sa. E’ anche erculeismo, capacità di soffrire fino all’annientamento." [3]. "Più o meno consapevole, il tifoso guarda al Giro come a un western: le sequenze di tappa, le fughe tormentose, le salite micidiali, il caldo che cuoce e prosciuga, la neve dei passi alpini, la solitudine delle cronometro, sono fotogrammi obbligati di uno spettacolo che è paragonabile alle epopee filmiche raccontateci da Ford, da Sturgess, e anche da quei registi degli spaghetti-western all’italiana pieni di fumo, boccacce, terrori tanto esagerati da spingere al riso. Un western molto popolare, molto nostrano. Con i suoi eroi tipici, le figure incorniciate secondo le tradizionali caratteristiche. Ecco dunque i Tom Mix, i Buffalo Bill, i Corbett, i Jessie James, e chi li interpreta: Gary Cooper, John Wayne, i vecchietti catarrosi e petulanti di contorno, il medico ubriacone, la donna fatale ai margini della strada, l’assalto alle fontane come alla diligenza, il tormento della fame come se anziché su un sentiero che corre tra mille osterie campagnole il corridore si trovasse tra le Montagne Rocciose. Ecco gli accampamenti, ecco le rincorse tra una banda di cowboys e l’altra, ecco la “rapina” di un traguardo, organizzata tra misteriosi accordi come l’irruzione dentro una banca" [4].
"Uno degli avvisi più diffusi dalla Gazzetta dello Sport ai bordi delle strade, appena il percorso accenni a salire, è quello rivolto agli spettatori un tantino fanatici: “Non spingete i corridori”. Non spingerli in salita va bene, ma spingerli a pedalare un po’ più in fretta in pianura, sarebbe stato un avviso non del tutto riprovevole. E’ vero che i corridori pensano alla salute, al prossimo Tour, alla fidanzata, alla mamma e a tanti altri cavoli loro. Giustamente. Ognuno sa gli affari suoi. Non mi pare tuttavia che sia troppo chiedere loro un minimo di adesione alle tabelle di marcia compilate con largo spirito di comprensione dagli organizzatori" [3]. "Quello che un osservatore disattento potrebbe scambiare per “entusiasmo” – in fondo scusabile – è null’altro che manifestazione d’una profonda diseducazione morale. Atto vergognoso, dunque, per usare la definizione venuta spontanea sulle labbra di tutti. Esiste, oppur no, un rimedio per sopprimere e punire, od energicamente arginare questo malcostume che tanto danno arreca a uno sport la cui esistenza è notoriamente avviata su una brutta china, che lo porta al caos?" [5]. "E adesso rimangono solo le montagne. Come se a calcio, esauriti anche i tempi supplementari, rimanessero solo i calci di rigore. Come se a carte, bruciati gli scartini, in mano sopravvivessero solo carichi e briscole. Solitudine Le montagne sono il giudizio universale, la giustizia giusta, la verità vera. Ai piedi delle montagne i corridori si spogliano di tutto, come davanti a una divinità cui interessa soltanto l' anima, non il corpo, né tantomeno l'abito. Perché ai piedi delle montagne non c'è più squadra o compagno, non c'è più tatuaggio o bandana, non c'è più Twitter o Facebook, non c'è più parola o gesto o smorfia, si è nudi e crudi, si è soli con se stessi eppure contro se stessi, si è liberi ma non si è necessariamente belli o forti, si è quello che si è. E quello che si è, è quello che si ha. Non essere o avere: ma essere e avere. Se ne hai, sei, e vai. Se non ne hai, non sei, non ci sei, non vai da nessuna parte, e amen" [6].
"La gente li saluta felice. Pensa solo alla loro forza, non legge entro le loro rughe fonde la maschera della fatica. La gente li vede una volta sola nella vita, per la frazione d’un minuto. Lancia fiori, grida, s’esalta, li sospinge con l’urlo febbrile. Le ragazze strillano, lanciano baci, si premono le palme sul petto affannato. Nessuno vede, nessuno ascolta il loro vero respiro, nessuno ha tempo di scrutare la nebbia delle loro palpebre stanche, di guardare le bocche deformate dalla sete, le labbra maculate dalla polvere, le mani rattrappite dallo sforzo sul manubrio. Ma io non sono «la gente che applaude allo sforzo generoso»: io sono uno che, un po’ per vocazione e un po’ per mestiere, va da venti anni pedinando solamente lo spettacolo della loro fatica, misurando lo spasimo e l’angoscia, l’accendersi delle speranze e l’intenerirsi della delusione. E ho visto, prima d’oggi, tante altre volte andar su per le salite del monte, sotto la tonnellata del sole e sotto il cilicio della pioggia, tanti altri che, come questi, furono un giorno famosi e di cui, un po’ alla volta, la memoria va impallidendo" [7].
A quattro chilometri da Cividale c'è Firmano, "frazione di Premariacco, circondato dalle discariche. Questa è la storia di quelli che ci vivono, raccontata da loro. Sono 250 e intorno hanno 7 impianti di smaltimento rifiuti, fra attivi, esauriti e in allestimento. Le donne di Firmano, si chiama il gruppo nato spontaneamente, senza una presidente né una segretaria. Sono loro che girano per i paesi del circondario chiedendo appoggio e solidarietà (senza grandi risultati). Sono loro che, ai tempi, hanno scritto a Cossiga. Sono loro che, prima di Natale, hanno fatto stampare una cartolina d'auguri con un Babbo Natale e tre foto di discariche, e la scritta "Buon Natale e felice anno nuovo da Firmano, capitale delle discariche". L'hanno spedita a tutti i parlamentari, a Scalfaro, ai consiglieri regionali, al vescovo. Nessuno ha risposto. Le donne di Firmano mi hanno dato appuntamento al bar-trattoria-tabaccheria Marina, che è l'unico esercizio pubblico della frazione. Vende anche pane, alimentari, un po' di frutta. Per la spesa si va a Premariacco o a Cividale. Nel bar c'è una collezione di vecchie radio, dei poster di Sauris, dove c'è sicuramente un'aria migliore. Abbiamo unito i tavolini, le donne hanno dai 25 agli 80 anni e due cose in comune: vivono a Firmano e sono esasperate dalla puzza. Il problema, all'inizio, è che parlano tutte insieme. Non sono abituate a vedere giornalisti, da queste parti. La storia che puzza non è mai andata oltre i giornali della regione. Ci sono anche tre uomini. Che puzza è, chiedo. Si consultano in friulano. Risposta: "Molto forte, tra la fuga di gas e il cadavere in decomposizione". Quando arriva? "Ci sono due orari quasi fissi, alle 7.45 e verso le otto di sera. Dipende dal vento e dalla bassa pressione. A volte dura 3 giorni di fila. D'estate pareva di morire. Il guaio è che adesso andiamo verso la bella stagione, quando si vorrebbero tenere le finestre aperte".
Parla uno degli uomini, il più anziano. Si chiama Antonio Duriavig, ha 74 anni. "Ho lavorato 12 anni in Belgio, in miniera, e poi alla Fiat Mirafiori. Prima della guerra la mia famiglia era andata in Libia. Sempre sgobbato, come tutti qui. Fino all'87 era un paradiso, poi mi mancava il fiato, ogni giorno devo prendere due pastiglie e uno spray. Si stava meglio in guerra, che almeno avevo un nemico, un fucile lui e uno io. Qui siamo disarmati, contiamo nulla". E sua moglie Angelina: "A me vengono dei mali di testa che non vanno via neanche con la Novalgina. E nausee". Parla un' altra donna, Marina Polentarutti. "Mio figlio è andato a cogliere dei ladrichs (è un'insalata di campo, ndr) e già mentre li curavo mi piangevano gli occhi come nemmeno con le cipolle succede. Li ho messi a mollo per tutta la notte, ma puzzavano ancora tanto. Allora li ho bolliti, perché si mangiano anche bolliti, con le uova sode, ma puzzavano. Per caso è passato il veterinario che m'ha detto: non mangiate quella roba lì, piuttosto fatela analizzare. Allora siamo andati a Udine col pentolino e al laboratorio ci hanno chiesto: di dove venite? Da Firmano, ho detto. E loro hanno detto: ah, allora si capisce tutto. Ma non è solo questo: le pecore non mangiano più l'erba, la annusano e non la toccano". I cavalli rifiutavano il fieno di Firmano già nell'87, e uno dei primi a dare l'allarme fu don Giorgio, parroco di Gagliano. Nell'88 quelli di Firmano restituirono i certificati elettorali, nell'89 raccolsero in giro 6 mila firme. Nel '97 stanno peggio.
Un'altra donna, Luigina Liberale: "Lampo, il mio cane lupo, non vuol più stare fuori quando arriva la puzza. Raspa alla porta e si nasconde in soffitta". Una delle più giovani, Paola Tonutti: "Almeno il tuo cane è vivo. Ne son già morti quattro di tumore, e anche molti canarini. Anche sulle piante, azalee, rose, rododendri, spuntano delle escrescenze come piccoli tumori. Io le butto via per non pensarci, ma poi ci penso. Tra due giorni faccio un'altra gastroscopia. Non è solo la puzza, dev'essere l' aria. Mi vengono macchie sulla pelle, sul cuoio capelluto. Ci siamo informate, un'analisi dell'aria costa almeno un milione, e qui spendiamo già molto di medicine". Marianna Pace: "Mio figlio si lamentava del male agli occhi, ho pensato a un colpo d' aria, sa il motorino. L'oculista ha detto che è allergia o irritazione per qualcosa che c'è nell'aria. Abitiamo a 400 metri dalla discarica". Rina Vanone: "Mia nuora Sonia, 32 anni, 2 figli, sanissima, mai avuto niente. Le hanno fatto il trapianto del midollo. I medici hanno parlato d'inquinamento. L'altra sera siamo andati a letto senza cenare, la bambina continuava a vomitare. Il padrone di uno degli impianti ci ha detto: io gli impianti li ho fatti, li faccio e li farò quando, come e dove voglio". Paola Indrigo: "Io prima di sposarmi stavo a Monfalcone, proprio accanto alla Centrale elettrica. Vai dalla padella nella brace, mi ha detto un amico medico quando mi sono trasferita a Firmano. Sono le donne ad avere il peso maggiore della puzza, gli uomini la mattina vanno via presto, a lavorare. Quando arriva la puzza, devi smettere, qualunque cosa tu stia facendo. Bruciano gli occhi, vomiti. E' come essere in una camera a gas, perché la puzza entra dai buchi fatti per legge nel muro, per il gas. Chiudere le finestre non serve. Noi ce ne andremmo anche, ma chi compra a Firmano? Nemmeno alla metà". Walter Nadalutti: "Io abito a Ipplis, ma col vento la puzza arriva anche lì. Ho lavorato in Honduras, che quando c'erano 40 gradi all'ombra sembrava di star freschi, e poi i dollari servivano per la casa. Ho lavorato alla Danieli, a Buttrio, e la mattina presto bisognava stare attenti a non investire una lepre, un fagiano. Non ne vedo più. Dai campi sono sparite anche le rane. Io dico: se fa tanti danni una discarica piccola, cosa succederà con quella venti volte più grande?". Giannina Liberale: "Io sto nella casa più antica, e a forza di passarci davanti i camion dei rifiuti, anche tedeschi, l'hanno crepata. Un giorno mi hanno fatto una Tac d'urgenza, a furia di vomitare ero diventata nera in faccia". Luigina, sua sorella: "Noi non ce ne vogliamo andare, è la casa dei nonni, dei padri. Vogliamo difenderla, anche se la casa di famiglia sta diventando la tomba di famiglia. L'imprenditore dice: io faccio il mio mestiere. E a noi chi ci tutela? C'è da andare giù di testa. Ci hanno tolto l'aria e la dignità, deve proprio morire qualcuno perché ci si occupi seriamente di Firmano?". Michelangelo Durante: "Io abito a 150 metri dalla Prefir e a 500 dalla nuova Gesteco. Ho la fortuna di studiare a Udine, ma i miei sono stati spesso male, mia madre è anche svenuta e il mal di testa con normali analgesici non passava, all'ospedale le hanno fatto le endovene. Sappiamo che il problema dei rifiuti esiste, e che questa è zona vocata. La rabbia nasce dalla cattiva gestione degli impianti (non copertura, non impermeabilizzazione), non dalla loro esistenza. Alle Usl ci hanno detto: in casi così, bisogna aspettare dieci anni per capire cosa succede. Ma da dieci anni ci sentiamo cittadini di serie C, oggetti di sperimentazione, non comunità da tutelare".
Ancora Paola Indrigo: "A parte lo star bene, a quante cose abbiamo rinunciato: a raccogliere le erbe spontanee, a bere l'acqua del rubinetto, che prima era buonissima. Solo bottiglie di minerale. Io non uso più nemmeno la verdura dell'orto. Il biologo m'ha detto che prima di consumarla dovrei farla analizzare. Ma si può passare la vita a fare analisi? E che vita è?". Sono storie di vita sempre più difficile. Firmano è un pugno di case, quasi tutte villette. Da un lato il fiume Natisone la separa da Premariacco, dall'altro le fanno corona le discariche. Di rifiuti urbani, una di rifiuti tossici nocivi (esaurita), una di rifiuti speciali (ma non tossici, non nocivi, non marcescibili, non putrescibili, e allora come si spiega la puzza?). Ma incombe, in allestimento, una discarica enorme, per rifiuti tossici nocivi, autorizzata (decreto del 6 ottobre '95) su parere favorevole del ministero dell'ambiente, contrari Usl, Comune e Regione. Prevede un presidio sanitario ed esami biennali di mutagenesi sugli esseri viventi (persone, animali, piante). Un salto di qualità, per persone che già non fanno una vita normale in presenza di rifiuti normali. Un'angoscia in più, nel silenzio generale. Le donne di Firmano si alzano, chi deve andare a prendere il figlio a scuola, chi preparare da mangiare. Annoto qualche altra frase. Ha vomitato anche il maresciallo dei carabinieri. Sì, ma i carabinieri son bravi, hanno fatto già 18 verbali. I camion cambiano le targhe dietro al cimitero di Orsaria. Non sono solo rifiuti nostri, vengono quasi tutti da fuori. Fanno i soldi con le cave, prima tirano fuori la ghiaia poi le inzeppano di porcherie. Nessuno di Firmano ci lavora, non sappiamo cosa succede davvero. Ai guidatori dei camion danno mezzo milione in più se non parlano con nessuno, se non si fermano a mangiare e a bere. Non ci hanno tolto la dignità ma anche la speranza, passa la voglia di fare, anche di piantare un chiodo, che idea di futuro possiamo dare ai nostri figli, che già quando arriva la puzza non possono fare i compiti? Ormai le abbiamo provate tutte, ci manca solo di andare a Roma. No, è qualcuno di Roma che dovrebbe venire a Firmano. O di Udine. Per farla finire bene, questa storia che puzza. Che forse non è una bomba ecologica, ma è una vergogna. Le donne di Firmano mi hanno lasciato certificati medici, in cui si fa risalire alle emanazioni delle discariche l'origine di nausee, dispepsie, cefalee, epigastralgie. Ma perché siete così isolate, ho chiesto, e così poco sostenute. Perché gli altri, qui intorno, hanno paura, hanno detto. Hanno paura, gli altri. Qui Friuli, profondo est, marzo '97, un esasperato saluto dalla capitale delle discariche. Una, ora, bloccata per cinque mesi dalla Provincia: due campioni di carotatura hanno rivelato tracce di rifiuti tossico-nocivi. Una piccola battaglia vinta, per le donne di Firmano. Ma c'è ancora molto da fare, lo sanno" [8].
“Domani che cosa succederà sui passi di Pordoi e Gardena? Non si parla d’altro nei conciliaboli segreti di squadra, a tavola, durante il pranzo, al banco del bar, da un letto all’altro, nel buio, prima che il sonno piombi addosso" [9]. "Voi, corridori, che siete uomini semplici, vicini alla terra dei vivi e dei morti, non credete ai fantasmi, ma sapete soltanto che domani c’è la tappa delle Dolomiti? (...) Corridori che vi apprestate a scalare le rampe delle Dolomiti – le montagne più favolose del mondo – partite con lo spirito di Ottavio Bottecchia nel cuore. Imparate da lui – il silenzio del muratore costruisce – cosa significa avere fede in se medesimi, amare il prossimo ma operare per conto proprio, non credere alle paghe mortificatrici degli effimeri contratti ma credere nelle conquiste audaci, plasmate nella carne cruda del coraggio" [10].
note
[1] Claudio Gregori, la Gazzetta dello sport, 31 maggio 1997
[2] Bruno Roghi, Corriere dello sport, 1 giugno 1953
[3] Velso Mucci, l'Unità, 3 giugno 1962
[4] Giovanni Arpino, la Stampa, 1 aprile 1970
[5] Vittorio Varale, 23 ottobre 1962
[6] Marco Pastonesi, 23 maggio 2012
[7] Orio Vergani, Corriere della sera, 4 luglio 1946
[8] Gianni Mura, la Repubblica, 16 marzo 1997
[9] Dino Buzzati, Corriere della sera, 2 giugno 1949
[10] Bruno Roghi, Gazzetta dello sport, 1937, (in "Eroi pirati e altre storie su due ruote", Rizzoli, 2010)

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