domenica 8 maggio 2016

Le biciclette d'Olanda


“Tutti gli olandesi sanno l’inglese così non dovevo parlare olandese, bel sollievo. Volevo noleggiare un’auto ma non ho potuto. Però la gente da cui stavo aveva biciclette, così un giorno sono andato fuori in bici e ho visto orde di vacche e oche e canali (...) Arnhem, dove c’erano tonnellate di Van Gogh da sballo”[1]Da sballo, per gli olandesi di Arnhem, è Tom Dumoulin che parte in maglia rosa.
“Si fa attenzione alla prima fuga, al primo staccato, alla prima foratura. A scuola si guardava il primo a chi la maestra sorridesse per prima, il capoclasse, in genere, a chi era interrogato per primo. Si sapeva che era perfettamente inutile far caso al primo, ma si continuava su questa linea ogni primo giorno di scuola, e si continua ogni primo giorno di Giro” [2]. Stavolta i primi a scappare si chiamano Omar, Giacomo e Maarten, di cognome fanno Fraile Berlato e Tjallingii . "L’Olanda è la negazione, implicita o esplicita, dell’esistenza del peccato individuale. Per dirlo in una formula, è il congiungimento di Padre Teilhard con Marcuse, sotto lo sguardo di Calvino" [3]Le bici hanno tutte le ragioni per abitarla. "Amsterdam è il paradiso della bici: 750 mila abitanti, un milione di bici, 400 km di piste ciclabili (250 a doppio senso, 150 a senso unico), 25 posteggi per bici, 15 punti di noleggio, più di 100 negozi dove acquistare e riparare. Ci sono anche 120 pedalò per girare nei canali. Eppure l'amministrazione locale vuole ancora promuovere l'uso della bici. Di tutti gli spostamenti, il 40% viene fatto in bici. E secondo il codice stradale olandese, le bici hanno la precedenza assoluta. Tant'è vero che, in caso di incidente, sono gli automobilisti a dover provare la propria non colpevolezza" [4]La bici è dramma, ma dramma autentico, come raccontò Theo Coster: "Presi il mio nome da clandestino, Theo, dal protagonista di un libro. Usavo raramente il cognome van Beek, perlopiù conservavo il mio, Coster. La scuola che frequentavo ad Apeldoorn era cattolica. Io però non sapevo niente del cristianesimo. Conoscevo a stento il Nuovo testamento. (…) Andavo ad Apeldoorn in bicicletta, e lungo il cammino c’era un posto di blocco in cui a volte la polizia mi controllava i documenti, ma – senza la J – è sempre andata bene. Quando era necessario dicevo di essere il nipote del maestro van Beek" [5]La bici è lavoro. "Passarono sotto il viadotto; in Streenstraat, Hans appoggiò la bicicletta delle consegne contro il bordo del marciapiede. Il proprietario del negozio e un suo aiutante stavano sistemando un vaso di rose su un piedestallo in vetrina sul quale avevano drappeggiato un telo di velluto nero (…) Le piante erano state consegnate, le cassette vuote caricate di nuovo sulla bicicletta" [6]. “Rob van der Plas, di soldi ne deve vedere meno. Ha uno stand di quattro metri quadri. La sua casa editrice si chiama Bicycle Books: solo libri sulla bicicletta. E metà li ha scritti lui. E’ un mago della manutenzione: se vuole può insegnarti come far durare una bicicletta in eterno, ammesso che la cosa interessi a qualcuno. Ha una faccia da musicista triste, quelli che suonano il clavicordo, tutto il tempo ad accordare perché è uno strumento antico, si sa. E’ nato in Olanda, vive in California. Gli chiedo che ci viene a fare a Francoforte. Lui, serafico: vendo. Libri sulla biciclette? Libri sulle biciclette. Apre il quadernetto degli appuntamenti e mi fa vedere: francesi, tedeschi, un brasiliano, un giapponese. Penso alle biciclette che, in giro per il mondo, saranno miracolate dalla sua sapienza. Un eroe, a modo suo” [7].
Quei tre matti partiti in fuga là davanti provano ad arrivare in un antico teatro di guerra "una piccola cittadina olandese. Il suo nome è Nijmegen, e si pronuncia come si vuole" [8]. "Il Giro non e' un paradiso affollato di angeli oranti. Le sue ali conoscono la polvere e il vento. Le gerarchie della corsa non sono di granito: sono spesso squassate da movimenti tellurici. E quest'anno la strada, dopo due giorni, promette già sterminate battaglie" [9]. "Non ho idea di come fosse Nijmegen una volta; probabilmente, a giudicare dalle rovine, da alcuni tetti rimasti, da qualche porta istoriata ancora visibile qui e là, esisteva una graziosa zona vecchia della città. (...) Nijmegen è una cittadina in cui la gente dorme nelle cantine e si aggira guardinga per le strade (...) Sebbene Nijmegen non mostri i segni di una grande ricchezza, i quartieri più poveri, i più vecchi e interessanti, non versano nelle terribili condizioni degli slum di una cittadina inglese o americana di dimensioni equivalenti. Gli abitanti di Nijmegen erano ovviamente gente abituata alla sicurezza, un popolo timorato di Dio, devotamente cattolico, che conduceva una vita provinciale e tranquilla, lavorava duro e non sprecava, né desiderava o poteva contare su alcuna misura di protezione per la vecchiaia. (...) Una grande strada con ponte attraversa il fiume Waal, e una relazione strategica lega questa parte dell’Olanda alla Germania, alla costruzione della Linea Sigfrido e al corso del Reno: per tutti questi motivi (semplificando i termini), Nijmegen si è ritrovata nel bel mezzo del sentiero percorso da eserciti nemici. (...) A Nijmegen il caldo non esiste, e quel poco di carbone che c’è viene usato per produrre energia elettrica, cosicché di notte, dietro alle finestre oscurate, la gente può almeno guardarsi in faccia (...) A Nijmegen la vita non è esattamente grigia e monotona, anche se è facile immaginarsi che in un posto come questo non sia mai stata realmente gaia. Non è una cittadina con bar e caffè e sale da ballo, e non ho mai nemmeno visto l’insegna di un cinema"[8].
Quando a un posto così di chilometri ne mancano quindici, col suo minuto di vantaggio Berlato si sta domandando se possa bastare. “Questo dovremmo fare anche noi: vedere com’è fatto, e non soltanto il Giro, non soltanto la fiera allegra e vanitosa che gli corre dietro, ma il nostro stesso cuore e ascoltare se risponde”[10]. "Se si guarda la corsa in chiave poetica, il fuggitivo è un simbolo di libertà. La volata, invece, è la metafora della dittatura. Chi fugge infrange lo status quo. Chi insegue cerca di ripristinare l'ordine. Nietzsche direbbe che il fuggitivo è dionisiaco, brandisce il tirso. Vive la corsa come caccia, estasi, allucinazione, spasimo. Rappresenta la trasgressione. Quei gregarioni belli come corazzieri, allineati lungo la strada militarmente, sono invece le forze del male. Praticano anche la tortura con crudeltà. Non acchiappano solo i fuggitivi, sotterrandoli nel gruppo come in una bara colorata. Prima li lasciano morire come aragoste in un bagno di vapore" [11]Se solo Berlato sapesse. "In gergo si parla di "fuga del cavallo morto", per indicare il tentativo del corridore senza speranza, che viene lasciato a sfinirsi con la testa al sole. In corsa sono di moda espressioni come lasciarli a bagnomaria, farli bollire. Ieri hanno fatto bollire"[11]Borlato e visto sfrecciare Kittel, "lo sprinter più forte del gruppo"12.
note
[1] Breat Easton Ellis, "Le regole dell’attrazione", Einaudi
[2] Gianni Mura, la Gazzetta dello sport, 1967
[3] Guido Piovene
[4] Marco Pastonesi, la Gazzetta dello sport, 1 aprile 2010
[5] Theo Coster, "I nostri giorni con Anna: il racconto dei compagni di classe di Anna Frank", Rizzoli
[6] Jan Siebelink, "Nel giardino del padre", Marsilio
[7] Alessandro Baricco, "Barnum 2", Feltrinelli
[8] Martha Gellhorn, "I volti della guerra", Il Saggiatore
[9] Claudio Gregori, la Gazzetta dello Sport, 18 maggio 1998
[10] Alfonso Gatto, l'Unità, 15 maggio 1948
[11] Claudio Gregori, la Gazzetta dello Sport, 26 maggio 1998

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