Il gol no-look non è materia fantasy: per farlo devi avere la cartina del tuo mondo stampata nella testa. Non comanda l'indole. È calcolo, estimo, topografia. Da Magic Johnson in avanti, la giocata no-look porta con sé il marchio dell'estro. Guardi in una direzione e mandi la palla dall'altra. Sandro Gamba, ex c.t. della Nazionale italiana di basket, la mette fra le cinque cose che lo lasciano senza fiato. Si sono esercitati in tanti, e sul parquet più che in ogni altro posto pare finanche un gesto naturale. Ilie Nastase trasferì l'idea sulla terra rossa del tennis, Yannick Noah la rese universale, Roger Federer ogni tanto la ripropone. Un pallonetto ti scavalca, ne insegui la traiettoria fino a fondo campo e da lì giochi il colpo sotto le gambe, spalle alla rete, un po' perché è la cosa più immediata da fare, un po' perché ti piace l'applauso della gente. Ma un campo di basket e uno di tennis sono lunghi il primo ventotto metri e l'altro quasi ventiquattro. Il prato di uno stadio è grande il quadruplo, per questo il gol no-look è un'eccezione. Non per Firmino, l'attaccante brasiliano che ne ha segnati addirittura due nell'ultimo anno, in Bundesliga contro il Werder Brema quando giocava per l'Hoffenheim e con la Nazionale contro il Cile.
Sapere sempre dove sei, questo è il punto. Alberto Paloschi appartiene a quella genia di attaccanti che conosce alla perfezione il proprio habitat. I rapaci. Morfologia Pippo Inzaghi, del quale infatti viene indicato come erede sin dal giorno in cui Ancelotti lo fa esordire ragazzino in serie A con la maglia del Milan. Precoce in tutto, dopo diciotto secondi tocca il suo primo pallone da professionista e lo mette in porta. I Paloschi, e prima di lui gli Inzaghi, e prima ancora i Paolo Rossi, sanno farsi trovare dove conviene, un attimo prima che lo capiscano tutti quanti gli altri. Hanno misurato con i loro passi domenica dopo domenica il luogo che vivono e che non lasciano mai. Sanno benissimo che poco più in là esiste un altro condominio, un altro isolato; lo sanno perché ne hanno sentito parlare, anche se non ci sono stati mai. Non gli serve. Si fanno bastare l'area di rigore, la loro sete di conoscenza non si spinge oltre la mappa delle terre note. I Paloschi non si perderanno mai. È questa la loro forza e insieme è il loro limite. Così non scopriranno mai l'America, ma sapremo sempre dove trovarli con un pallone buttato in mezzo alla cieca.
(la Repubblica, 19 gennaio 2016)
Sapere sempre dove sei, questo è il punto. Alberto Paloschi appartiene a quella genia di attaccanti che conosce alla perfezione il proprio habitat. I rapaci. Morfologia Pippo Inzaghi, del quale infatti viene indicato come erede sin dal giorno in cui Ancelotti lo fa esordire ragazzino in serie A con la maglia del Milan. Precoce in tutto, dopo diciotto secondi tocca il suo primo pallone da professionista e lo mette in porta. I Paloschi, e prima di lui gli Inzaghi, e prima ancora i Paolo Rossi, sanno farsi trovare dove conviene, un attimo prima che lo capiscano tutti quanti gli altri. Hanno misurato con i loro passi domenica dopo domenica il luogo che vivono e che non lasciano mai. Sanno benissimo che poco più in là esiste un altro condominio, un altro isolato; lo sanno perché ne hanno sentito parlare, anche se non ci sono stati mai. Non gli serve. Si fanno bastare l'area di rigore, la loro sete di conoscenza non si spinge oltre la mappa delle terre note. I Paloschi non si perderanno mai. È questa la loro forza e insieme è il loro limite. Così non scopriranno mai l'America, ma sapremo sempre dove trovarli con un pallone buttato in mezzo alla cieca.
(la Repubblica, 19 gennaio 2016)
Nessun commento:
Posta un commento