lunedì 25 gennaio 2016

Lo scudetto del Napoli di Pacileo

E' morto ieri a Napoli, a 84 anni, Giuseppe Pacileo, inviato e prima firma della redazione de Il Mattino, la figura più autorevole del giornalismo sportivo in città per decenni. Spiritoso, ironico, colto, appassionato di letteratura, cinema, melomane, insegnava senza volerlo, senza pretesa di farlo, con semplicità, chiacchierando. Un architetto della curiosità. La costruiva e la trasmetteva. Poteva intrattenersi a discutere della traslitterazione di un nome russo e della posizione in campo di Salvatore Bagni. Ieri molti ricordavano di lui il 3,5 che a Udine un giorno diede in pagella a Maradona. Pacileo apparteneva a una stagione perduta di questo mestiere, fatta di trasmissione del sapere verso i più giovani, di condivisione del tempo al campo con i colleghi, di confronto continuo con i protagonisti, calciatori e allenatori, non ancora rinchiusi nei bunker dei loro campi d'allenamento. Qui sotto trovate un articolo scritto su Ottavio Bianchi, allenatore del Napoli, per l'edizione straordinaria del 10 maggio '87, giorno del primo scudetto. 
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IL SIGNOR Ottavio Bianchi è persona simpatica, uomo di spirito, disinvolto conversatore, trovandosi fra amici sicuri (che sono pochi) è possibile addirittura che si sbilanci oltre il sorriso. Come chiunque, s'intende, ha pregi e difetti. Come tantissimi, è possibile che consideri pregi i suoi difetti e viceversa.




Uno dei difetti/pregi è il suo pretendere di vivere da persona seria nell'attuale mondo del calcio, adiacenze e pertinenze comprese. Ecco perché l'allenatore Ottavio Bianchi può tanto spesso apparire personaggio scostante, privo di spirito, monosillabico intervistato. A titolo personale lo capisco. Appena arrivato a Napoli, Giordano si sentì domandare: "Quanti gol conta di segnare?" e mi venne l'impulso di intervenire in sua vece: "Duecento!". Ahimé, il consumismo giornalistico impone di gonfiare in tre colonne di testo ciò che si potrebbe dire benissimo in venti righe. Bianchi preferisce le venti righe e, in generale, un discorso sul calcio limitato alla domenica, con qualche episodica concessione il giorno prima e il giorno dopo.
E' fatto così, ritiene d'averne diritto. In fondo, lo paga. La stima di sé, il feroce amor proprio, l'orgoglio di essersi fatto da solo, e senza compromessi, lo rendono scomodo. Egli lo sa, come non ignora di poter contare soltanto sui risultati che ottiene: nella congiuntura avversa troverà pochi alleati... ma chi nasce tondo non può morire quadro.
Me lo ricordo giocatore: inserito nel gruppo, come no? e partecipe dei comuni interessi, però spesso appartato col suo libretto in mano. Non pochi compagni erano come intimiditi da quel ragazzo già vecchietto, figlio d'un tipografo e dunque progenie d'aristocrazia operaia, interprete d'una professionalità servita dai fatti. Di parlare, per tutti, gli chiesero sperando di trar vantaggio dalla sua buonafede, e il colloquio con Ferlaino divenne uno scontro - con un tipo così o ti incontri o ti scontri - seguito dal licenziamento. Successivi chiarimenti avrebbero ricostituito e rafforzato il rapporto di stima che ha riportato Bianchi a Napoli in panni di tecnico.
Sembra strano che proprio a questo lombardo dallo sguardo ceruleo così facile a diventar gelido, proprio a lui che rappresenta l'antitesi di quant'è napoletano - grand'agitarsi, gran vociare... e il resto non dico - sia toccato di realizzare il miglior risultato dacché Napoli conosce il calcio. Invece strano non è affatto. M'appello ad un principio fisico: è proprio fra due poli d'opposto segno che si stabilisce la differenza di potenziale, quella che fornisce l'energia. Nel presente caso, un'energia che si è trasformata in scudetto.
Giuseppe Pacileo

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