giovedì 21 gennaio 2016

Ciao Hewitt, ultimo bimbo prodigio del tennis


Aveva solo cinque minuti di carriera davanti a sé e ancora faceva il pugnetto a mezz’aria. Lleyton Hewitt è stato Hewitt fino alla fine. Ha messo da parte l’ultimo game, l’ultimo C’mon e dopo un rovescio lungolinea mandato in corridoio sono partiti i saluti, i titoli di coda. Il tennis va così. Finisci sempre per lasciare dopo una sconfitta, a meno che tu non sia Sampras, o Flavia Pennetta. Hewitt ha vinto due titoli di Slam e per due anni è stato il numero uno, anche se pare un’epoca fa, perché davvero era un’epoca fa, quando si presentò sui campi con la sua allergia, già pronto per un titolo, ed era sedicenne. E' stato l’ultimo bambino precoce del tennis mondiale, numero uno quando di anni ne aveva appena venti, il più giovane di sempre, prima che questo sport si votasse definitivamente alla longevità. Come precoce è stato il suo tramonto, anche per via di un bel po' di infortuni. Ma s'è goduto tutto, ascesa e tramonto, senza cambiare mai.
“E’ stato il mio idolo. A casa ho un piccolo museo. Ho la maglietta di un solo tennista. La sua. Firmata. Un onore essere stato il suo ultimo avversario”, ha detto a fine partita lo spagnolo Ferrer. Forse perché Hewitt in campo è sempre stato il più spagnolo dei non spagnoli, come conferma l’ammirazione dichiarata di Nadal nel video mandato in onda sul campo di Melbourne per l’addio. Si presenta in circuito con un paio di caratteristiche spiccate, subito evidenti e mai ritoccate. Quando nel ’98 vince il primo torneo, peraltro battendo Agassi in semifinale, Gianni Clerici scrive: “Il bambino Lleyton Hewitt ha sorpreso tutti. Bambino ho scritto, perché questo riccetto biondo ha soltanto 16 anni, ma sta in campo con la grinta di un Connors, ancorché con educazione. E' diventato il terzo più giovane di tutti i tempi, questo Hewitt, nel vincere un torneo. E la sorpresa aumenta nell'osservare che pesa sessanta chili, non ha muscoli, né il suo allenatore Peter Smith pensa di acquistargliene qualche chilo alla prima farmacia dietro l'angolo”. Eppure, con un fisico normale, dentro un mondo che viaggiava verso l’atletismo e la muscolarità, Hewitt ha portato a conseguenze estreme il fight tennis. Era l’evoluzione di Connors, ma nella definizione di Bud Collins “non ruba, come ha fatto infinite volte Jimmy. Non influenza di giudici. Sarà antipatico, ma non contravviene alle regole”. Sputa a ripetizione in terra, urla C’mon, certo disturba gli avversari. Ma è onesto. Quando appare, partecipa al grande rinnovamento del tennis australiano, che in quel momento conta pure su Rafter e Philippoussis. Batte Sampras in finale a New York 2001 (facendogli il break sei volte dopo che quello nel torneo aveva vinto 87 turni di servizio di fila), e poi si prende il Masters, e poi il numero uno, e poi la Davis, pare poter segnare un’era. Hewitt inventa un tennis, ha scritto il Wall Street Journal qualche giorno fa, che Federer Nadal e Djokovic hanno portato a compimento. Nel senso che fino a qualche decennio fa esisteva una divisione netta fra i giocatori d’attacco e quelli di ribattuta. Darren Cahill, che di Hewitt è stato allenatore, ha spiegato che “i campioni del passato avevano tutti una zona in cui si sentivano più a loro agio. Il rovescio di Sampras, per esempio, era tutt’altro che straordinario, così come non lo erano i movimenti di Agassi. Tutti avevano una debolezza. Lo Hewitt di quel periodo non ne aveva”.
Non è mai stato simpatico. Non è stato baciato dagli dei, né nel fisico né nella tecnica. Federer è più giovane di lui di sei mesi, ma è diventato grande con la maturità, perciò con il suo stile classico è un campione più moderno, perché più vicino allo spirito dell’epoca che scoraggia i baby campioni: oggi solo quattro giocatori fra i primi cento hanno meno di vent'anni. Hewitt è stato il bagliore di una favola. Un dominatore in transito. Batté Federer per sette volte nei loro primi nove match. Era ancora, quello, il Federer pigrotto che ogni tanto sfasciava racchette, imprecava contro se stesso e andava a rete senza porsi tante domande. Hewitt lo adorava. Era un bersaglio e lo passava. “Lleyton mi ha costretto a tirar fuori il meglio di me”, è stato l’omaggio di Roger, che per batterlo è dovuto diventare più aggressivo, inventarsi un altro tipo di rovescio, evolversi, crescere. Così lo ha battuto quindici volte di fila a partire dal 2004. E’ per cominciare a battere Hewitt che Federer è diventato Federer. Tesi che lo stesso Cahill caldeggia: “Hewitt ha il merito di aver fatto di Federer il giocatore che è oggi”. Fosse davvero solo per questo, bisognerebbe dirgli grazie.

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