Sono arrivato a undici metri di distanza dalla Coppa del mondo. Non sono riuscito a parare l'unico rigore che avrei dovuto prendere. Andreas Brehme, 1990, la finale contro la Germania. Feci mezzo passo avanti e mi lanciai sulla mia destra. Poteva tirare solo di là. Ma non ci arrivai. Ai rigori avevamo battuto la Jugoslavia a Firenze nei quarti e l'Italia a Napoli in semifinale. Brehme, in tedesco, per me significa castigo.
Sono cresciuto giocando a pallone per strada, nel barrio di Lima, come tanti altri bambini argentini dell'epoca. Si usciva di scuola, e via. La strada era ancora un posto sicuro, i genitori ci lasciavano scendere senza avere paura. Non abbiamo mai chiuso la porta di casa, i cani randagi si infilavano e venivano a mangiare qualcosa da noi, oppure d'estate correvano a bere. Ce n'era uno, si chiamava Tuky, mi girava fra le gambe, avrò avuto tre o quattro anni, gli versavo l'acqua in una scodella, lo ricordo come fosse ieri. Sparì da un giorno all'altro, ero grandicello abbastanza per capire cosa gli fosse capitato. La strada stava già diventando un posto peggiore. Oggi, se vuoi giocare a calcio, devi avere un adulto che sia libero il pomeriggio, che abbia la patente, che in macchina ti porti da qualche parte della città, in una delle scuole dove ti riempiranno la testa di grida perché non torni abbastanza in difesa e dribbli troppo con la palla.
Per fortuna avevo mio padre. Per me fece due cose enormi. Mi comprò un cane, lo chiamammo Toni, e mi portò a giocare per il Lima Fùtbol Club. Lui era un ex portiere, sono finito anch'io a giocare lì, nel suo ruolo, non so se per amore o per eredità. Verònica e Silvina, le mie sorelle, a casa battevano i rigori: dovevano farmi gol centrando la porta della mia camera. Ho cominciato così, e ogni rigore parato su un campo di calcio l'ho sempre collegato a quel ricordo, alle mie sorelle che provavano a segnarmi, scalze, per non disturbare i vicini.
L'educazione, il rispetto per gli adulti, l'amore per gli anziani. Così sono stato educato. Con i vecchi i bambini ci parlavano ore e ore, loro tornavano piccoli, noi imparavamo qualcosa dai ricordi. C'era un codice di vita familiare, una libertà, un rispetto, un'inclinazione alla generosità. Mi piaceva fare i compiti di matematica, mi hanno sempre affascinato i numeri. Avevo il 12 dietro la maglia la sera della partita con l'Italia. In campo scoprimmo che quanto detto da Diego era una mezza verità. Lo stadio tifava in prevalenza per loro, del resto che cosa potevamo aspettarci? Fu chiarissimo al momento dei rigori, quando il San Paolo, lo stadio di Maradona, ne fischiò i passi con cui si avvicinava al dischetto. Altro che tutto dalla nostra parte.
La gente ha una visione distorta della vita di un calciatore. E' una vita molto bella, certo, ma bella non è sinonimo di facile. Sacrifici, sacrifici, sacrifici. Ho visto per la prima volta il mio secondo figlio che aveva già otto giorni, perché quando nacque ero in viaggio con la nazionale. Non mi sono mai creato un personaggio, non ho mai desiderato essere famoso o importante o cosa. Non è facile. Devi volerlo evitare con tutto te stesso. Bisogna sforzarsi per conquistare il proprio equilibrio, per conservarlo, per non smarrirlo. Non ci sono formule. Il mestiere è duro, il ruolo è ingrato. Forse per essere un bravo calciatore bisogna staccarsi dalle emozioni della gente. Mentalmente devi accettare l'idea che il rischio sia parte di te. Ci sono occasioni in cui devi essere tu a salvare la squadra, altrimenti non la salva nessuno. Un portiere è esposto alla sconfitta più di chiunque altro, ma il rischio certe volte è un'opportunità. Dipende da come lo vivi. Dipende se dal rischio ti fai spaventare o ti fai esaltare. La cosa migliore per me è stata considerare il rischio un compagno di viaggio, senza lasciarmi condizionare, mai, in un verso o nell'altro. Un giorno ti fanno un gol, un giorno ne eviti un altro. Così vanno le cose, sei un portiere, devi accettarlo.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Sergio Goycocheca sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
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