sabato 26 luglio 2014

Le vite immaginarie di Optì Pobà



Optì Pobà è nato in Ghana, in Senegal, forse in Brasile. Avrà vent’anni, ventuno, ventisei, chi lo sa, conta poco, anche questo alla fine è un dettaglio.

Optì Pobà gioca a calcio perché gli piaceva molto da bambino, giocare in fondo gli riesce abbastanza bene già dai tempi in cui il pallone era un ammasso di stracci e gli mancava il verde del prato sotto le scarpette. Ha scoperto col tempo che il calcio lo avrebbe reso benestante, gli avrebbe fatto girare il mondo, perciò alla passione Optì ha aggiunto l’impegno. Per farcela. Per arrivare dov’è adesso.


I sacrifici, quelli li conosce. Ha lavorato in un’azienda che fabbricava bottiglie d’acqua, il suo compito era mettere i tappi, stringerli, avvitarli bene, come Francis Zahoui, il primo africano a venire in Italia dopo la riapertura delle frontiere nel 1980. O forse no, forse guidava auto a noleggio, come Luis Silvio, il brasiliano della Pistoiese. Oppure può darsi che facesse l’addetto ai graffiti ripulendo i muri della sua città, come Adil Rami, francese di origini marocchine, che aveva bisogno di portare soldi a casa e che a scuola chiamavano l’alunno fantasma, tanto non si vedeva mai. Ecco. Per diventare un calciatore, un calciatore vero, anche Optì ha smesso di studiare, ha lasciato perdere i libri perché non aveva abbastanza tempo, o forse era la famiglia a non avere i mezzi per garantirgli l’iscrizione all’Università.

Anzi no, al contrario, Optì ha studiato mentre lavorava come centralinista e nel frattempo ha studiato arte, si è anche laureato, proprio come George Weah. Di certo, alla Lazio, dove gioca titolare, Optì Pobà ogni domenica si batte contro un’indecenza. Gli fanno buu negli stadi, appena possono, e mica per razzismo dicono, che qua tutti vogliono bene all’Africa, questa cosa voi non la dovete nemmeno pensare, se gli fanno buu è solo perché si tratta di un avversario, e negli stadi dai, si sa, che lo diciamo a fare. Optì Pobà, nato dov’è nato, nell’anno in cui è nato, gioca nella Lazio e non deve abbassare la testa. È arrivato che non lo conosceva nessuno, ma questa non è colpa sua. Anche Yayà Touré si è presentato in Belgio che aveva 18 anni e le valigie in mano, mica si deve essere campioni dalla nascita. In Premier League, ha ragione il futuro presidente della federcalcio, Optì Pobà non avrebbe messo piede. Se sei un extracomunitario devi avere un buon curriculum internazionale per ottenere un ingaggio. Da noi no, e per fortuna, altrimenti la povera serie A, con meno appeal e meno risorse dell’Inghilterra, non potrebbe neppure sperare di scoprire dal nulla una pepita, un futuro campione, non potrebbe permettersi di scommettere su una promessa come Optì Pobà.

Poi, certo, Optì Pobà diventa grande, e allora arriveranno il Chelsea e i Manchester a portarselo via e a sanare in parte i conti dei nostri club, tutti in rosso o quasi. Intanto Pobà è qui, e godiamocelo ancora un po’. Con i suoi gol, i suoi dribbling, il lancio in verticale, i tackle, il senso dell’anticipo in difesa. Se è diventato titolare nella Lazio, ci pensi il prossimo presidente Figc, significa che Optì Pobà lo ha meritato giorno per giorno, un campo di calcio racconta sempre il vero. Optì s’è preso questa maglia in ogni allenamento, facendosi preferire ai suoi compagni, anche italiani, e non portandogli via il posto, perché i posti in partenza non sono di nessuno. Competizione, si chiama così. Allora viene un dubbio. Forse Tavecchio, prossimo presidente federale, non era di Optì Pobà, dei suoi sogni, delle sue speranze, della sua crescita, dei suoi sacrifici che voleva parlare. Forse Tavecchio voleva dire altro, intendeva parlare di quegli stranieri che la serie A va a comprare e non si sa bene perché, li prende e non li fa giocare, li tiene in panchina, addirittura in tribuna, e appena possibile ne fa merce da indirizzare altrove, con il diritto di riscatto, l’opzione, il controriscatto, tutta quella roba là, la finanza creativa, i grandi club che misteriosamente prendono giocatori in prestito da club più piccoli, con i giochi contabili delle plusvalenze e delle minusvalenze, con tutto questo via vai di soldi oltre la frontiera.

Eccolo, il punto vero. Ecco di cosa voleva parlare Tavecchio, e se non voleva, ecco di cosa doveva. Non di Optì Pobà, lui proprio non c’entra. Tavecchio doveva parlare agli uomini dietro di lui, ai presidenti di A e di B che con il loro fiato soffiano nelle vele della sua corsa verso la presidenza. Gli stessi che oggi tacciono, non solo privi del coraggio per sfilarsi dalla coalizione vincente, ma senza neppure avvertire il bisogno di dirsi imbarazzati per una frase, questa roba delle banane, che in Inghilterra non sarebbe rimasta impunita. Se proprio vogliamo paragonarci all'Inghilterra.

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