Voi non sapete quanto era forte Adolfo. Ottantuno milioni di persone e cento anni di pallone: noi messicani non avevamo mai avuto un grande portiere, e proprio io mi dovevo trovare davanti Adolfo Rìos. Un mostro.
Quando arrivai ai Pumas, il numero uno era lui. Solo che non mi andava certo di fare la riserva all'unico portiere buono che il Messico avesse tirato fuori dai tempi di Adamo ed Eva. Lasciate perdere Carbajal, io dico un portiere forte sul serio. Visto che c'era già Rios, chiesi di andare in attacco, me la cavavo anche coi piedi. Mi aveva insegnato tutto mio padre, che aveva messo su una squadretta nel quartiere a cui aveva dato il nostro cognome.
Campos. Eravamo il Deportivo Campos.
Coi Pumas feci una quindicina di gol in due anni, poi arrivò il giorno in cui Rìos se ne andò. Non vedevo l'ora. In porta andai io. Avevo imparato a giocare a calcio per le strade di Acapulco. Avevo cinque anni e già potevate trovarmi nel cuore delle furiose partite per le vie della città. Mi piaceva andare in porta e mi piaceva pure andare in attacco, ve l'ho detto. Solo una cosa non vi ho detto. Che mi piaceva ancora di più andare in porta e andare in attacco nella stessa partita. Cominciai a farlo anche in campionato e quando mi chiamò la nazionale, che meraviglia, continuai a farlo anche lì: una volta segnai due gol.
Al Deportivo di mio padre si giocava pure a tennis, a basket e a baseball. A me piaceva il surf, l'emozione di cavalcare l'onda, di sentire che il vento ti sta spingendo ma che sei comunque tu a decidere dove portare i tuoi piedi. La cosa bella del surf sono le divise. Quei colori, mamma mia. Il calcio mi pareva così arretrato. Fu un attimo: decisi di mettere quelle divise quando la nazionale mi chiamò. Oddio, non proprio quelle. Simili. Le disegnavo io. Con i colori che vedevo dalle tavole del surf.
Lo so che mi ridevano dietro, non me ne è mai fregato niente. Mi arrabbiai solo quando la lega americana di soccer mi obbligò a cucire sulla mia divisa il loro maledetto stemma. Appena potevo, in nazionale portavo il numero 9, era il mio preferito, almeno non c'erano imbarazzi, potevo usarlo in porta e in attacco. Quando però ci qualificammo per il mondiale del '94, a noi del Messico venne a farci un discorsetto il signor Blatter. Capii subito l'antifona. Disse che era una buffonata avere un giocatore che fosse insieme un portiere e un attaccante. Buffonata, risposi io, come sarebbe una buffonata, si chiama portiere volante, esiste, basta giocare un paio di volte per la strada e lo vedi, lo capirebbe pure uno col cervello di una mosca che si può fare. Si può, disse Blatter, ma non devi. E' necessario che tu scelga, non fa bene al calcio una figura come la tua. I compagni e la federazione mi suggerirono di ascoltarlo. Non volevo che ci andassero di mezzo anche loro. Scelsi di stare in porta, almeno potevo mettere le mie divise di surf.
Quando giocammo contro l'Italia, ne avevo una rosa gialla e qualcos'altro. Il loro portiere si chiamava Marchegiani e ne indossava una verde bianco rossa azzurra. Ehi amico te la disegni tu, gli faccio. No, sono i colori della bandiera, mi dice. Cavolo, sono anche i colori nostri, penso. E poi lo strano sarei io. Quattro anni dopo, in Francia, c'eravamo un'altra volta, e a noi del Messico venne a farci un altro discorsetto il signor Blatter. Capii di nuovo. Stavolta ce l'aveva coi miei colori. Disse che i miei maglioni erano una buffonata. Buffonata, risposi io, parlate di marketing e merchandising, e poi la chiamate buffonata, questa roba va a ruba e non c'è nessun articolo di regolamento che la vieta. Non è vietata, disse Blatter, ma è meglio se non la metti. E un'altra volta i miei compagni, e la federazione, e quella roba lì. Non la misi. Sono un portiere, a volte sono un attaccante, spesso tutt'e due le cose insieme, ma non sono un ribelle. Non lo sono per niente. Non mi metto a sfidare il signor Blatter per un maglione. Però quelli del calcio sono una lagna. E' gente triste, credete a me.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Jorge Campos sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
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