venerdì 18 ottobre 2013

Canaglie contro lebbrosi, il folle derby di Rosario

Le canaglie contro i lebbrosi. La squadra per cui tifava Che Guevara e quella di Messi. La folle storia della rivalità più accesa che ci sia. 



Celtic-Rangers? Sbagliato. Lazio-Roma? No. Olympiakos-Panathinaikos? Nemmeno. Il derby più derby che esista al mondo si gioca domenica in Argentina, dove molti credono che il massimo sia Boca-River, il Superclàsico di Buenos Aires. Illusi. Dimenticano cos'è il calcio a Rosario. La città di Messi. Sul fiume Paranà. Dove tutto parla del Central nella zona nord, dove tutto è Newell's Old Boys nella parte sud. I marciapiedi e i muri hanno i colori dei due club: giallo e blu di qua, rosso e nero di là. Non c'è nel mondo una città più malata di calcio di Rosario. Quando arriva il derby, i bambini vanno a scuola con la maglia della loro squadra sotto i grembiuli. Immaginate ora che il derby torna dopo tre anni. Il Central è risalito dalla B, il Newell's nel frattempo è tornato campione.



Ma questa è una partita in cui le differenze che contano sono altre, in campo quasi sono minuzie. A Rosario tutto è identità, a cominciare dai soprannomi che le squadre portano da ottant'anni, soprannomi che hanno prima subìto e poi rivendicato. Quelli del Central si chiamano canallas, mascalzoni, da quando negli anni '30 si disse che il loro club aveva rifiutato di organizzare una raccolta fondi per un lebbrosario in città. Canaglie, noi? E sia. Canaglie. Quelli del Newell's, che alla raccolta invece dissero sì, li chiamano lebbrosi. Lebbrosi, noi? E sia. Allo stadio se lo dicono da soli, cantano che di lebbra vorrebbero morire.

Che Guevara, il più famoso rosarino del mondo, era tifoso del Central. Per il club è diventata quasi un'icona sacra la foto scattata durante uno dei suoi viaggi da "diario della motocicletta": il Che studente di medicina che cura gli ammalati di lebbra. Ne ha scritto in questi giorni il New York Times, con una lunga serie di aneddoti e di testimonianze su questa rivalità. Il mito dell'altra sponda è Leo Messi, nato e cresciuto nella parte meridionale di Rosario. Fino a 13 anni quando partì per Barcellona, dove quest'estate lo ha raggiunto Gerardo Tata Martino, allenatore dell'ultimo titolo rossonero.

Che Guevara contro Messi. Oppure? Juan Yacob, gestore di un ristorante tematico dedicato all'amore per il Central, ha raccontato all'inviato del giornale statunitense che a Rosario "o sei un tifoso del Central o sei un tifoso del Newell's oppure non sei niente". Altro che Glasgow, Roma e tutto il resto. Questa è bella. Quando nel 1970 il Central valutava la cessione di Aldo Poy, un ragazzo di casa, cresciuto a tre palazzi di distanza dallo stadio, Poy andò a nascondersi su un'isola e fece saltare tutto. Come si lascia il Central se tu ti senti il Central? Perché nessuno diventa del Central, lo sei da subito. Una volta chiesero a César Menotti quando fosse diventato tifoso. Rispose: "Quando sono nato". L'anno dopo la mancata cessione Poy avrebbe segnato il gol più conosciuto e più festeggiato di tutta la storia del club. Un gol che in Argentina chiamano la palomita. Semifinale del campionato con il Newell's. Una palla bassa, Poy si lancia in tuffo e ci arriva. Gol. La palomita. La colombella. Tre giorni più tardi, il Central avrebbe vinto anche la finale, diventando campione per la prima volta.

Non vi racconto tutto il reportage del Nyt. Ma merita una segnalazione il fatto che Roberto Fontanarrosa, scrittore argentino e tifoso del Central, in un suo racconto abbia fatto morire un anziano tifoso di nome Casale sulla tribuna dello stadio, un attacco di cuore durante la festa per il primo titolo del 1971. Sempre il famoso anno di Poy. Ebbene. Nel vedere il vecchio Casale che si accascia, il protagonista della storia alza le spalle. "Che ce ne frega. Per una canaglia questo è il miglior modo per morire". Boca-River, davvero, non è niente.

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