La papera di Green |
Eravamo rimasti a Green, Robert Green, londinese fuori porta, di Chertsey, nel Surrey. Eravamo fermi ai suoi guantoni fragili che in una partita degli ultimi Mondiali si piegano sotto il tiro dell'americano Dempsey condannando l'Inghilterra non a una sconfitta, semmai a una sorte peggiore, più sciagurata, all'incubo di non avere un portiere.
Perché le sconfitte passano, ma gli incubi non se ne vanno mai. E' il luogo comune meno luogo comune del mondo. E' il cliché più vero che esista: gli inglesi non hanno mai avuto un portiere. Vero. Punto e basta. Da Seaman a James: vero. Vabbe’, tranne Shilton. Tranne Clemence. Tranne Banks. Tutti gli altri ci sono dentro. Come dimostrò Robert Green in Sudafrica contro gli Usa. Gabriele Romagnoli ci fece un pezzo su quella papera. Scrisse che "nessuna teologia prevede il perdono per i peccati dei portieri. Incancellabili nei secoli dei secoli", disse che Green non si sarebbe ripreso neppure dopo dieci anni e millequaranta sessioni dall'analista, a cinquanta sterline l'una. Dove sia adesso Green si sa. In serie B, con il Queens Park Rangers, la squadra che gli ha dato fiducia quando s’è accorta che non riusciva a darla a nessun altro. Resta ora da capire dove sarà fra quattro anni Joe Hart, che della nazionale inglese è l'attuale numero uno, e che ai Mondiali del Brasile si avvicina in stile Green.
L'ultima serata di guai l'ha trascorsa con il suo City in Champions contro il Bayern. Nel pieno rispetto per le tradizioni, si sa come sono gli inglesi. Il tè delle cinque, il cambio della guardia, le papere dei portieri. Sei minuti e s'è fatto trapassare la mano dal tiro di Ribéry, la seconda volta se n'è andato a passeggio davanti a Mueller, alla terza gli ha piegato il polso Robben. Abbastanza perché l'Inghilterra adesso si domandi, My God, è con questo qui che a giugno andremo ai Mondiali?
Si fa presto a passare da grande speranza a speranza tradita. Quando intorno alla testa di Hart ancora si intravedeva l’aureola e intorno alla sua infanzia i tabloid ritagliavano agiografie, si diceva che al bambino Joe piacesse gettarsi a terra. Pareva una garanzia luminosa, forse era una profezia funesta. Suo padre Charles era un rugbista. Anche suo zio. Per questo raccontano che il bambino Joe disse, A rugby io mai. Provò col cricket, finì fra i pali. I più accaniti biografi della fase “Brave Hart” descrivevano compiaciuti come in casa ci fossero due lavelli, e uno sempre pieno dei suoi panni sporchi. Cercavano segni propizi fra le lavatrici. Invece l’unica spia da cogliere era sinistra, bisognava saper intuire già da allora che non sarebbe stato bravo nelle uscite, bisogna avvertirlo quando diceva che “il ristorante migliore è casa di mamma”.
Adesso forse è già tardi. Adesso i tabloid montano gallerie di foto e di video con tutte le papere di “non più Brave Hart”. Compreso quella contro la Scozia a Wembley, in estate. Spuntano i nomi delle possibili alternative. John Ruddy, Scott Carson, Fraser Forster, Ben Foster, Jack Butland, Robert Green. Oddio, Robert Green. Proprio lui. Quello. Quel Green. Allora la cosa è seria.
aggiornamento Stamattina sul Daily Mail, Martin Samuel, una delle firme calcistiche più note d'Inghilterra, scrive che Hodgson deve andare avanti con Hart, non ci sono vere alternative e che è troppo tardi per cambiare.
L'ultima serata di guai l'ha trascorsa con il suo City in Champions contro il Bayern. Nel pieno rispetto per le tradizioni, si sa come sono gli inglesi. Il tè delle cinque, il cambio della guardia, le papere dei portieri. Sei minuti e s'è fatto trapassare la mano dal tiro di Ribéry, la seconda volta se n'è andato a passeggio davanti a Mueller, alla terza gli ha piegato il polso Robben. Abbastanza perché l'Inghilterra adesso si domandi, My God, è con questo qui che a giugno andremo ai Mondiali?
Si fa presto a passare da grande speranza a speranza tradita. Quando intorno alla testa di Hart ancora si intravedeva l’aureola e intorno alla sua infanzia i tabloid ritagliavano agiografie, si diceva che al bambino Joe piacesse gettarsi a terra. Pareva una garanzia luminosa, forse era una profezia funesta. Suo padre Charles era un rugbista. Anche suo zio. Per questo raccontano che il bambino Joe disse, A rugby io mai. Provò col cricket, finì fra i pali. I più accaniti biografi della fase “Brave Hart” descrivevano compiaciuti come in casa ci fossero due lavelli, e uno sempre pieno dei suoi panni sporchi. Cercavano segni propizi fra le lavatrici. Invece l’unica spia da cogliere era sinistra, bisognava saper intuire già da allora che non sarebbe stato bravo nelle uscite, bisogna avvertirlo quando diceva che “il ristorante migliore è casa di mamma”.
Adesso forse è già tardi. Adesso i tabloid montano gallerie di foto e di video con tutte le papere di “non più Brave Hart”. Compreso quella contro la Scozia a Wembley, in estate. Spuntano i nomi delle possibili alternative. John Ruddy, Scott Carson, Fraser Forster, Ben Foster, Jack Butland, Robert Green. Oddio, Robert Green. Proprio lui. Quello. Quel Green. Allora la cosa è seria.
aggiornamento Stamattina sul Daily Mail, Martin Samuel, una delle firme calcistiche più note d'Inghilterra, scrive che Hodgson deve andare avanti con Hart, non ci sono vere alternative e che è troppo tardi per cambiare.
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