Unthinkable. Che l’Inghilterra non vada ai Mondiali è assolutamente fuori da ogni logica. Questo dicevano Londra e la nazione nell’ottobre del ‘73, loro, inventori del calcio e campioni del mondo sette anni prima. Mai avevano mancato la qualificazione da quando nel 1950 avevano deciso d’esserci, rompendo lo splendido isolamento. Mai potevano immaginare di essere eliminati dalla Polonia, una sola partecipazione, nel lontano ’38. Come finì, si sa. “Puoi giocare per vent’anni in nazionale, puoi giocare mille partite e non essere ricordato da nessuno. Ma arriva una sera in cui hai la possibilità di scrivere il tuo nome nei libri di storia”, fu il discorsetto fatto dal ct Kazimierz Gòrski ai suoi giocatori prima di andare in campo. Polonia ai Mondiali, Inghilterra a casa.
Una partita che in queste ore è il fantasma degli inglesi, chiamati martedì sera a giocarsi la qualificazione al prossimo Mondiale, ancora ottobre, ancora Wembley, ancora Polonia. Di diverso c’è che stavolta la Polonia è fuori. Non può qualificarsi. Ma per chi crede ai fantasmi questo è un dettaglio. The Independent stamattina ha intervistato Jan Tomaszewski, il portiere polacco che di quella partita fu l’eroe. Ha 65 anni, dice che arrivarono a Wembley come dei brutti anatroccoli e tornarono a Varsavia sentendosi dei cigni. Dice che tutto è possibile nel calcio, ma che stavolta finisce 3-1 per gli inglesi. Normale. Difende i suoi ricordi. Difende la poesia di quella notte che lo fece diventare un cigno. Ma gli inglesi tremano lo stesso.
Quarant’anni fa. Per aver perso in Polonia e per aver pareggiato a Wembley con il Galles, l’Inghilterra deve solo vincere, alla Polonia basta il pareggio. Messo sotto pressione dai giornali per la sua tattica prudente, il ct Alf Ramsey - Sir Alf Ramsey - chiede che il precedente turno del campionato inglese sia sospeso, così da avere giocatori più freschi. Gli rispondono con quattro parole. Te lo puoi scordare. Ramsey prende il coraggio a quattro mani e lascia fuori dalla squadra i più stanchi. Compreso Bobby Moore. Oh, Bobby Moore. Il capitano di un decennio. Prende la sua maglia e la dà a Norman Hunter, prende la sua fascia e la dà a Martin Peters. “In vita mia non ho mai giocato una partita a una porta sola come quella”, disse anni dopo Hunter. A una porta sola, il guaio è che dentro quella porta c’è un diavolo. Maglione giallo, un gigantesco numero uno dietro la schiena, pantaloncini rossi. Jan Tomaszewski.
Brian Clough, all’epoca allenatore del Derby County, gli aveva dato del clown, dell’eccentrico, uno che fa la scena, che prende a pugni il pallone quando potrebbe bloccarlo. Eccolo qua il pagliaccio. Solo che vi farà piangere. Jan para coi piedi e con le mani, a destra, a sinistra, sotto la traversa. Un posseduto. Mentre dall’altra parte, dopo 10 minuti del secondo tempo, al primo contropiede, Shilton si fa scivolare la palla fra le mani: gol di Domarski, uno a zero per la Polonia, Wembley muto. A tragedy, urla il telecronista. Otto minuti dopo Clarke avrebbe pareggiato su calcio di rigore. E arriviamo all’ultima mezz’ora. Uguale al primo tempo. Tomaszewski per la verità non è infallibile. Una volta esce male con i pugni e manda la palla verso la sua porta: salvataggio sulla linea. Ma è la sua notte, la notte della Polonia. Inghilterra fuori dal Mondiale. Ramsey perde il lavoro, Moore chiude con la nazionale, la Polonia in Germania sarà terza.
E adesso. “Non giochiamo per la qualificazione, siamo fuori, ma giochiamo per l’orgoglio di portare la maglia del nostro Paese”, ha detto Robert Lewandowski, il centravanti polacco del Borussia Dortmund, che a Wembley c’è già stato per la scorsa finale di Coppa dei Campioni. Quarant’anni dopo Tomaszewski la stella della Polonia è lui, non il portiere (Boruc, ex Fiorentina). “Sono più forti di noi, ma datemi una sola occasione e faccio gol”, ha detto Lewandowski. Nel dubbio, in Inghilterra stavolta nessuno l’ha chiamato pagliaccio.
Nessun commento:
Posta un commento