martedì 29 dicembre 2015

Rafa Benítez, una calamita di pregiudizi


Stanno cercando la pistola che fuma, nell'attesa al Real Madrid hanno in mano un dossier. Ma pare che ancora non basti. Non subito. L'ultima prova raccolta da Florentino Pérez per chiudere i conti con Rafa Benítez è un'informativa in cui sono stati raccolti i pareri di calciatori, dirigenti e altri tecnici vicini alla Casa Blanca. Riferiscono di un Benítez ormai isolato, senza più nessuno dalla sua parte. Un panorama di solitudine. L'ultima telefonata fatta dal presidente a Sergio Ramos s'è chiusa con la certezza che la squadra non ci vede chiaro, «il filo è debole», almeno così scrive il quotidiano sportivo Marca, che dal ventre del Real registra sempre le informazioni giuste.
Chissà come si vive sapendo che non si riuscirà a far cambiare idea sul proprio conto. A Benítez è successo in Inghilterra, in Italia, adesso finanche a casa sua. È la più grande calamita di pregiudizi che ci sia nel calcio. In un senso e nell'altro. Benítez polarizza. Divide nella sua stessa metà del campo. Lui non ha avversari: ha gente che lo odia. Lui non ha estimatori: ha degli accoliti. Guillem Balague, giornalista e scrittore catalano, quando c'è Rafa di mezzo vede solo «corruzione intellettuale». Lo ha scritto in "CR7", la biografia non autorizzata di Ronaldo. «Lo considero vittima di un trattamento ingiusto. Benítez ha pagato lo scotto di aver irritato l'establishment della Premier League, contestando sir Alex Ferguson, il Manchester United, gli arbitri, la Football Association, persino José Mourinho. Ho sempre pensato che se fosse stato inglese sarebbe diventato un eroe nazionale».
Il calcio sa far passare Benítez allo stesso tempo per un saggio e per un ciarlatano, per un sovvertitore di gerarchie con club che prima di lui vincevano poco o per un sopravvalutato. «Sono un professore», dice lui di sé stesso, perché lo è davvero, di educazione fisica, e del professore conserva l'approccio didattico, distaccato ecco, anche dentro uno spogliatoio. Non è un caso che lo staff intorno a lui cambi di frequente. I legami sono accessori. Più è vasto l'ego di un calciatore (Gerrard, Maicon, Terry), meno sarà probabile che vada d'accordo con Rafa: non per uno scontro fra personalità - questo è un equivoco - ma perché l'ego esige premure, è insaziabile, insegue la beatitudine, come mostra il Ronaldo geloso delle attenzioni per Bale. Non esiste uomo più lontano di Benítez dal clientelismo mediatico, quello che in Spagna chiamano amiguismo: io ti do una notizia, tu mi dai un bell'aggettivo. A Napoli, dopo aver fatto terra bruciata intorno a un certo sottobosco di procuratori e simili, si mise in testa di non andare a prendere nemmeno un caffè con un giornalista. A Milano ha avuto più acquisti da Moratti (zero) che serate di pubbliche relazioni al ristorante. L'immagine pubblica è l'ultimo dei suoi pensieri. Poi finisce che vinci 4-2 e in tv ti chiedono dei due gol presi. E partono le risatine sulla dieta, sul sudore, sul rossore.
I risultati di Benítez sono per alcuni da allenatore di prima fascia, per altri un fallimento. Lo hanno accusato sia di essere difensivista sia di essere scriteriato, senza echilibrio. Del resto il calcio rimane il mondo in cui danno del sopravvalutato a Roby Baggio, ed è gente che vota. Un gran bel mistero, questo uomo di cultura, una moglie laureata in giurisprudenza, una figlia che in Inghilterra ha vinto un concorso in composizione letteraria; un uomo che appena può vola nel suo eremo sulla penisola di Wirral. Uno studioso di tattica, un secchione che in viaggio di nozze deviò per andare a conoscere Sacchi a Milanello. Un maestro di calcio, un uomo di intuizioni acute (Arbeloa terzino sinistro su Messi, David Luiz davanti alla difesa), un manager che sa convincere un giocatore a seguirlo dove altrimenti quello non sarebbe andato (Xabi Alonso e Mascherano a Liverpool, Reina e Higuaín a Napoli). Eppure è un collezionista di caramelle avvelenate, uno che sbaglia i tempi e non se ne cura. Va all'Inter a farsi maltrattare dopo Mourinho, va a farsi fischiare al Chelsea dopo esserne stato rivale, dice sì al Real dopo Ancelotti. Stanno solo cercando una pistola che fumi e quando la cerchi, una la trovi.

(la Repubblica, 28 dicembre 2015)

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