martedì 27 ottobre 2015

Lo sport di Sancho Panza

sanchodore

QUANDO Jason Lezak si lanciò in acqua dal blocco di partenza del Water Cube di Pechino, si mise a nuotare per una medaglia e per un record. La medaglia era sua, il record era di un altro. A Michael Phelps mancava soltanto l'oro in quella staffetta 4x100 mista, sarebbe stato l'ottavo dei Giochi, per aggiornare l'impresa fatta nel ‘72 da Spitz. Ma Phelps era ormai solo spettatore del suo progetto: dopo aver nuotato la frazione a farfalla, non era più in grado di muovere un muscolo per concludere l'opera. Non restava che affidarsi a Lezak, figlio di una maestra di scienze alle scuole elementari e di un venditore di pelletteria della California.
Uno specialista di staffette: tredici delle sue quattordici medaglie fra Olimpiadi e Mondiali le ha vinte mettendosi al servizio degli altri. Uno scudiero, come l'Acate di Enea, l'uomo di fiducia che porta le armi all'eroe e lo accompagna nell'antro della Sibilla. Se Phelps oggi ha quel record, un po' lo deve a Lezak, giacché lo sport è spesso scambio. C'è chi vince prestando fiato e gambe alla gloria altrui, c'è chi quel fiato e quelle gambe sa raccoglierle e trasformarle in qualcosa di più alto. C'è l'egocentrismo dei numeri uno e c'è l'agonismo dei numeri mille. Se la miscela funziona, quando hai messo insieme un primo e un ultimo, non può fermarti davvero più nessuno.
dentrosecL'uomo che si dedica agli altri nel ciclismo si chiama gregario, nel calcio è un mediano, nel rally è un navigatore, nel mezzofondo è una lepre, nella boxe è un secondo. L'uomo che si dedica sa stare in un angolo, si prende cura di te, del tuo sudore, dei pugni che ti hanno colpito e di quelli che avresti potuto dare. Uno scudiero incide sulle tue ansie. Quando il gong suona, deve tornarsene all'angolo. L'ombra è la sua dimensione. Tanto sa vincere anche da lì. Di questa figura, eterna e nobile, si occupano adesso Franco Esposito e Dario Torromeo nel libro Dentro i secondi (Absolutely Free Editore, 326 pagine, 16 euro), un elogio degli umili che rendono possibili le glorie dei campioni. Non ci sarebbero stati i colpi di genio di Rivera e Platini senza i chilometri corsi da Lodetti e da Bonini, non sarebbero esistite le fughe sull'acqua degli Abbagnale senza il ritmo dettato da un Peppiniello Di Capua, e tutta la narrazione del ciclismo sarebbe stata diversa se non avessimo avuto i Milano, i Panizza e i Bruseghin. Il ventennio del regime fascista esaltò la "nazione sportiva per eccellenza", voleva gli assi e aveva occhi per lo splendore di Carnera, della nazionale di Pozzo, di Beccali e Romeo Neri. È nel dopoguerra che inizia a essere celebrata la figura del gregario. Forse perché nasceva un Paese che voleva risollevarsi rimanendo unito; una spalla che offriva un appoggio acquisiva dignità civile e letteraria. Negli anni '50 Tito Poggio scrive Il gregario , romanzo sportivo per ragazzi, mentre Gianni Rodari dedica a questo nuovo simbolo una delle sue Filastrocche in cielo e in terra : "Filastrocca del gregario / corridore proletario / che ai campioni di mestiere / deve far da cameriere / e sul piatto, senza gloria / serve loro la vittoria. / Al traguardo, quando arriva, / non ha applausi, non evviva. / Col salario che si piglia / fa campare la famiglia / e da vecchio poi si acquista / un negozio da ciclista / o un baretto, anche più spesso, / con la macchina per l'espresso". In pieno boom economico, Sergio Zavoli e il "Processo alla tappa" esaltano le storie dei modesti e le imprese di un giorno. Gregorio il gregario, un ex contadino friulano sfruttato dal suo capitano, diventa uno dei personaggi degli sketch di Raimondo Vianello e Tognazzi in "Giro a segno", trasmissione che viaggia al seguito della corsa. Se deve salutare la mamma, alla fine dell'intervista, Gregorio preferisce salutare la mamma del suo capitano. L'epica ha già trovato la sua parodia. Ma i secondi nel frattempo sono ovunque, non solo nello sport. Hollywood ha impiegato otto anni per accorgersi della loro centralità: l'Oscar nasce nel 1929, quello all'attore e all'attrice non protagonista arriverà nel 1937. Ma un cameo nel cinema comincia a valere quanto un grande ruolo. In compenso la grande America dei canestri, la Nba, prevede sin dall'inizio (1946) un premio per il giocatore che serve il maggior numero di assist. Il passaggio diventa un'arte. A teatro e nel varietà quelli dell'assist si chiamano "spalle": Carlo Campanini, Mario Castellani, Bombolo. Nel loro libro Esposito e Torromeo ripercorrono le vite di tanti fra questi campioni che scelsero di vincere nell'ombra. Li raccontano con dettagli, minuzie e affetto. Da Andrea Carrea, fedelissimo di Coppi, a Hilderaldo Bellini, difensore del Brasile di Pelé. Scrive Emanuela Audisio nella prefazione:

"I Sancho Panza sono oscuri, invisibili, ma fondamentali. Sono compagni di vita e di avventura che non si lasciano disarcionare. E che permettono di cavalcare i sogni. Ognuno ha il suo motivo conscio o inconscio per essere scudiero e non cavaliere. Per dare agli altri invece di trattenere per se stesso. E per non fare parte del lato A. Forse è un'assenza di vanità, troppo poco amor proprio o eccessiva consapevolezza".

Il tempo avrebbe sottratto romanticismo e aggiunto ricchezza. Nell'ombra si può perfino guadagnare quanto un fuoriclasse. La politica ha creato la figura dello spin doctor. Andrew Crofts è nella narrativa anglosassone un ricchissimo ghostwriter da decine di milioni di copie, felice per non averne firmata neppure una col suo nome. Dinanzi alle lepri di oggi che scandiscono il tempo nei giri iniziali per consentire ai campioni di battere i record dell'atletica, un fuoriclasse anni '70 come Lasse Viren non comprende. Se ne lamenta: "Che tristezza, tutti questi corridori riempiti di denaro". Era solo questione di tempo. In fondo i secondi sono nati per primi, se è vero che Adamo diede una costola per Eva. Come passare una borraccia in una tappa di montagna.

(la Repubblica, 26 ottobre 2015)

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